Fuggì dall’Istria cacciato dai comunisti di Tito, ma era italiano e anche un po’ lucchese: Mario Andretti campione del mondo in Formula 1 nel 1978

Posted on February 3, 2016

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di aldo grandi

Tra le tante cazzate di cui, questa sera, si è occupato il consiglio comunale, c’è stata una felice parentesi che, ancora una volta, ha portato alla luce quello straordinario senso di appartenenza che, fortunatamente, anche gli esponenti della Sinistra più antinazionale, veterocomunista e asessuata non sono riusciti ad uccidere. In piena seduta è stata assegnata la cittadinanza onoraria a Mario Andretti, nato in Istria nel 1940  e che, il 20 febbraio di quest’anno compirà la bellezza di 76 anni. Quando Nico Venturi, il nostro collaboratore, ha inviato un sms a chi scrive sottolineando di avere appena scritto il pezzo con la concessione del riconoscimento, il sottoscritto non ci ha fatto caso, ma, poco dopo, aprendo il file, è rimasto sbigottito e piacevolmente commosso. Mario Andretti, cavolo, lo stesso nome di un famoso pilota di Formula Uno che, negli anni Settanta, aveva guidato per la Ferrari e la mitica Lotus di colore nero che, nel 1978, vinse il campionato del mondo. Poi, leggendo, la sorpresa: Mario Andretti era proprio lui, lo stesso volto di quando, allora, vinceva sui circuiti di mezzo mondo portando impresso, sulla sua vettura, la Lotus 78, la prima a sfruttare l’effetto suolo, il marchio John Player Special. Come non ricordarlo? Ecco che, allora, improvvisamente, come una frustata, come un lampo che squarcia il buio della notte, la memoria che scivola indietro nel tempo.

Era il 1977, la crisi petrolifera aveva sconvolto l’Italia e l’economia mondiale riducendola sull’orlo del lastrico. In Italia gli anni di piombo erano lungi dall’essere finiti e, per certi versi, erano, in realtà, appena iniziati. In Argentina, l’anno precedente, c’era stato il Golpe dei generali. L’anno seguente ci sarebbero stati i campionati del mondo proprio nel paese sudamericano dove i desaparecidos erano ancora una parola pressoché sconosciuta dalle nostre parti. La Lotus di Mario Andretti lanciò la 78 e, l’anno dopo, la 79 con la quale il pilota italo-americano si aggiudicò il titolo. Impresso sulla fiancata un marchio che divenne il simbolo delle nuove generazioni e che affascinò milioni di ragazzi e di uomini: John Player Special. Dalle sigarette ai costumi alle magliette a tutto un po’. Quella mitica sigla, JPS, sovrapposta, divennero uno dei simboli del nuovo individualismo di massa dove al collettivo si andò, progressivamente, sostituendo il desiderio di rilanciare la propria immagine con tutta una serie di oggetti cult.

La Formula 1 di quegli anni fu una incredibile veicolo di voglia di rinascita, di ricrescita, di restituzione al singolo della sua individualità al posto dell’annullamento pressoché totale che la politica aveva attuato nell’ultimo decennio. Che Mario Andretti era un pilota di origini italiane lo dicevano, a sufficienza, il nome e il cognome. Ma che, fuggendo dall’Istria occupata dai comunisti di Tito che massacrarono decine di migliaia di italiani colpevoli solo di aver vissuto in quelle terre sotto il fascismo, si era fermato in un campo profughi a Lucca, il sottoscritto lo ha appreso solamente questa sera. Ebbene, forse sarebbe stato bello organizzare, per Mario Andretti, a Lucca, qualcosa di molto, ma molto speciale, anche perché, questi peracottari ignoranti di nuovissima generazione conoscono, magari a menadito la legge Cirinnà sulle unioni civili e tutti gli addentellati, ma non sanno niente di ciò che furono le foibe e la tragedia dei produfghi istriani, uccisi e perseguitati senza pietà dai comunisti titini con l’assenso per non dire la complicità del partito comunista italiano succube e servo sciocco di Mosca. All’epoca, va riconosciuto, solamente il Msi-Dn di Giorgio Almirante si schierò per difendere a oltranza e riconoscere i diritti di questi cittadini che erano, al pari di tutti gli altri, italiani anche loro. Ma già allora la Sinistra seppe dimostrarsi antinazionale in nome di una Ideologia che considerava e considera il senso di appartenenza a una nazione e a un comunità come una sovrastruttura borghese da abbattere.

Lucca, finalmente, ha tributato l’onore delle armi a un suo figlio adottivo e ha restituito alla memoria ciò che l’Ideologia e la politica, per troppi anni, avevano cancellato e strumentalizzato. Non c’è differenza tra le foibe e le fosse comuni scoperte nel dopoguerra e i campi di sterminio nazisti. Troppo spesso si fanno distinzioni ridicole e idiote.

Stasera anche il sottoscritto, che a Lucca è piovuto la bellezza di 27 anni fa, si sente orgoglioso d’esser lucchese. Mario Andretti, chi lo avrebbe mai detto? Ma vi rendete conto di che cosa è stato, per anni nel mondo dell’automobilismo, Mario Andretti? E questa giunta di bradipi che viaggiano con motore elettrico invece che alimentato con benzina doc, nemmeno si rendono conto che, a uno come mister Andretti, avrebbero dovuto tributare almeno una tre giorni di festeggiamenti e celebrazioni, per uno che, quando parla di Lucca, ne parla col cuore arivando a chiamare i suoi due figli, in ricordo di quella permanenza di tanti anni fa, Marco e Luca.

Mario Andretti non era e non è mai stato, nella sostanza, un americano nonostante negli anni Sessanta abbia ottenuto la cittadinanza a stelle e a strisce. E’ un italiano, molto più italiano di tanti altri, nato nell’Istria che fu italiana e che, per colpa dei piano ambiziosi e sciocchi di Mussolini, fu persa e ceduta al nemico, quel peggior nemico tinto di rosso che trucidò uomini, donne e bambini all’insegna di un odio etnico che aveva già mostrato durante il conflitto e che riapparì, nella ex Jugoslavia, negli anni Novanta.

Mario Andretti non leggerà mai queste parole, ma se lo farà e se qualcuno riuscirà a fargliele leggere, ebbene, siamo pronti, in qualunque momento, ad incontrarlo e a farci raccontare la sua vita in una interSvista che mostri, a questi paladini della indifferenzazione di massa, che sono le differenze che caratterizzano la civiltà, non certo le uguaglianze che la conducono, invece, verso una assurda e innaturale omogeneizzazione senza futuro e senza speranza.

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