Sardos Albertini, sdegno e stupore per la sentenza di Strasburgo

Posted on April 16, 2015


«Da molti anni a questa parte ho preso a cuore l’annosa questione riguardante i rapporti di carattere economico tra lo Stato italiano e i suoi cittadini costretti ad abbandonare i propri beni nelle terre cedute alla Jugoslavia, in conseguenza dell’arbitraria nazionalizzazione ed espropriazione avvenuta sotto il regime dittatoriale di Tito». Esordisce così Gian Paolo Sardos Albertini in merito alla clamorosa sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo di ricusazione del ricorso presentato dal noto legale istriano inteso a far riconoscere ai profughi giuliani e dalmati il diritto all’equo risarcimento. «Anche membri della mia famiglia scapparono dalle loro terre d’origine e dovettero insediarsi in posti più sicuri per cercare riparo dalle angherie messe in atto dal brutale regime dittatoriale – prosegue Sardos Albertini –. Animato da un forte spirito di servizio, nella consapevolezza che migliaia di persone vissero un trauma indicibile, ho messo a diposizione degli esuli la mia professionalità e le mie competenze per ottenere dallo Stato Italiano il giusto risarcimento in termini economici dei beni abbandonati nelle terre d’origine».

«In questa prospettiva, nel 2006 ho intrapreso una lunga battiglia legale, partita dal Tribunale di Trieste e culminata in sede europea dinanzi la Corte di Strasburgo. In Italia coltivavo poche speranze di ottenere risutati positivi: un organo dello Stato (l’ordine giudiziario) avrebbe dovuto condannare un altro organo del medesimo Stato (l’ordine esecutivo) al risarcimento dei danni patiti dagli esuli. Ha prevalso ovviamente la logica conservatrice a discapito della giustizia». Ma in sede europea, chiarisce Gian Paolo Sardos Albertini, nonostante il precedente giurisprudenziale, il caso Broniowski (relativa ai beni abbandonati da 80.000 cittadini polacchi nei territori ad est del fiume Bug, e trasferiti da accordi tra Polonia ed Unione Sovietica a quest’ultima, con obbligo della Polonia di pagare, oltre ai danni di guerra, anche un risarcimento ai propri cittadini che avevano perduto le loro proprietà) «auspicavo che le legittime aspettative degli esuli istriani/giuliano/dalmati fossero adeguatamente corrisposte».

 

Ma, oltre al rigetto in sé, ciò che lo rende «ancora più straziante» è che «la Corte medesima non si cura di esplicitare i motivi per i quali ha deciso di determinarsi in tal senso: decenni di angherie e soprusi liquidati con una lettera di poche righe che dichiara irricevibile il ricorso senza fornire la benché minima giustificazione. La circostanza che desta maggiore scandalo è che la normativa permette alla Corte di atteggiarsi in siffatta maniera. A tale organo giurisdizionale, infatti, è dato modo di rigettare ricorsi concernenti diritti fondamentali della persona, senza dare atto dei motivi che conducono a simile decisione». «Gli organi giudiziari di uno Stato di diritto (nella specie, una molteplicità di Stati) non possono permettersi di derogare a tale principio fondamentale, pena un vulnus di democrazia. E ciò a maggior ragione se l’organo autorizzato a non motivare i propri provvedimenti si chiama “Corte Europea dei diritti dell’Uomo”» conclude il legale.

 

red.

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