GENOVA. 9 APR. Comprato per caso in una libreria dal cantuautore Simone Cristicchi il libro “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani”, scritto dal giornalista Jan Bernas, a questi è stato di spirazione per il suo spettacolo.
Il libro non riporta nulla di nuovo dal punto di vista storiografico e raccoglie solo alcune testimonianze di esuli istriani, basandosi su questo e non volendo avere alcuna pretesa di storico, Cristicchi tende invece a mantenere la sua nomea di autore “impegnato” ( ricordiamo alcuni suoi spettacoli sulla malattia mentale, sui minatori e sulla guerra) e per questo punta ad emozionare.
Ma sintetizzare un arco di tempo di quarant’anni senza omettere nulla non è compito facile ed il rischio era quello di annoiare presentando al pubblico una specie di conferenza storica. Cristicchi si è dunque proposto di incuriosire la gente ad approfondire un passato che fa parte dell’Italia e quindi un passato di noi Italiani. L’intento di “emozionare”, è intento a cui aspirano tutti coloro che vanno sul palco, ma intento arduo da attuare anche per i mostri sacri del teatro. Il cantautore non rispettando i pregi della sinteticità ha dilatato i tempi dando per altro una lettura storica del tutto falsata, riproducendo pari pari i vecchi testi di propaganda nazionalista inframmezzati da qualche appunto “antifascista”.
Impersonando un archivista un po’ burino, Duilio Persichetti, si fa accompagnare alla scoperta della storia da un oscuro “spirito delle masserizie” che gli appare nel deposito dei mobili abbandonati dagli esuli giuliano dalmati, appunto il magazzino n.18 al Porto Vecchio di Trieste.
In una carrellata, piuttosto confusa, che vorrebbe spiegare come il fascismo si rese colpevole di violenze antislave , porta il pubblico alla conclusione che gli “slavi” fecero l’equazione “italiano = fascista”. Una mistificazione che serve a creare uno stato emozionale e non razionale, mistificazione diffusa dalla propaganda antijugoslava e non corrispondente al vero, perché l’Esercito di liberazione jugoslavo, così come i militanti antifascisti del Fronte di liberazione accoglievano nelle proprie file antifascisti di tutte le etnie.
Parlare di “Un’intera regione svuotata della propria essenza. Gente costretta a lasciare la sua terra non per la fame o per la voglia di migliorare la propria condizione, ma perché non si può vivere senza essere italiani”, vuol dire non considerare che l’Istria non era esclusivamente italiana, ma una regione popolata anche da sloveni, croati ed istrorumeni.
In conclusione, forse a qualcuno del pubblico l’emozione è arrivata perché in fondo l’emozione, non essendo di per se stessa razionale, non ha bisogno di considerare la realtà dei fatti, e giocare sulle corde sentimentali e più facile di altro, ma lo spettacolo risulta troppo melenso e retorico anche se all’artista va riconosciuta la capacità di stare senza fatica (dimostrata) sul palco parlando e cantando per due ore di seguito senza bere neanche un goccio d’acqua.
Magazzino 18 sarà alla Corte fino a domenica 12 aprile.
FRANCESCA CAMPONERO
Posted on April 11, 2015