Balkan Connection

Posted on April 1, 2015


L’arresto dei terroristi islamici certifica le capacità e la tenuta delle forze dell’ordine italiane di fronte alla sfida della jihad anche per la cultura della sicurezza nata negli anni di piombo

La Polizia di Stato italiana pochi giorni fa ha smantellato una cellula di estremisti islamici operativa tra la provincia di Torino e l’Albania. L’operazione dei reparti di antiterrorismo, denominata “Balkan Connection”, ha portato all’arresto di tre persone, due albanesi e un marocchino naturalizzato italiano. I primi due sono indagati per il reato di reclutamento con finalità di terrorismo, il terzo per apologia di delitti di terrorismo, aggravata dall’uso di Internet. Sono state eseguite inoltre 5 perquisizioni e 3 misure cautelari in territorio italiano, tra il Piemonte, la Lombardia e la Toscana, e anche una misura cautelare in Albania.

Le indagini, avviate due anni fa dalla Digos di Brescia, hanno fatto emergere “evidenti implicazioni tra estremisti residenti nel nostro Paese e ambienti del radicalismo islamico dei Balcani occidentali”. Tra gli arrestati c’è un ventenne italo-marocchino, già residente a Vobarno in provincia di Brescia, autore del documento di propaganda dell’ISIS in italiano circolato sul web il mese scorso, scoperto da Wikilao. I tre arrestati erano in contatto, sia telefonico che tramite Facebook, conAnas El Abboubi, uno dei “foreign fighters” con passaporto italiano che si troverebbe attualmente in Siria. Lo stesso Anas (arrestato dalla Digos nel giugno del 2013 e poi scarcerato dal tribunale del Riesame), pochi giorni prima di trasferirsi in Siria, aveva effettuato un viaggio in Albania , dove viveva uno dei presunti estremisti islamici bloccati dall’antiterrorismo.

Relativamente a questo episodio, emergono in particolare due aspetti principali su cui si può e si deve porre l’accento. E sono il ruolo dei servizi segreti italiani e la componente islamica radicale dei Balcani. Per quanto ci è dato sapere, i nostri servizi segreti non hanno avuto alcun ruolo in questa vicenda. L’operazione non si è avvalsa del loro ausilio, ma piuttosto dalle forze di polizia ordinarie, cui va il merito di essere state all’altezza della situazione. Il che certifica la grande preparazione e la tenacia delle forze dell’ordine italiane, mentre lascia qualche dubbio sull’operato generale di Aise e Aisi (le due agenzie per la sicurezza della repubblica) che, sempre per restare alla cronaca, non hanno filtrato neanche i minacciosi messaggi circolati in rete, di cui gli autori sono proprio gli stessi soggetti arrestati dalla polizia.

Questo episodio dimostra, in ogni caso, un aspetto positivo di non poco conto. E cioè che l’esperienza maturata dalle nostre forze di polizia durante gli anni di piombo non è andata sprecata. L’Italia, infatti, è stato l’unico Paese europeo a sopportare un intero ventennio di terrorismo interno e internazionale sul proprio territorio, ma anche in ragione di ciò è riuscita a mettere in piedi un’organizzazione e una strategia di contrasto efficace, peraltro senza mai deviare dalle leggi della democrazia e dal rispetto della libertà dei cittadini.

Le nostre forze di sicurezza, infatti, non hanno mai avuto a disposizione strumenti come il “Patriot Act” americano, che ha offerto alle strutture di sicurezza degli Stati Uniti un potere invasivo e quasi illimitato, con la giustificazione della lotta al terrorismo. I nostri apparati sono invece riusciti a piegare il terrorismo, restando all’interno del corpo legislativo democratico ordinario.

Oggi la CIA (Central Intelligence Agency) si vanta di essersi trasformata, attraverso i droni, in un’efficace “killing machine” e lo stesso presidente Obama, che questo metodo lo ha ereditato ma ben alimentato, quasi quotidianamente firma condanne a morte da somministrare con le micidiali macchine a distanza in varie parti del mondo. Lo Yemen, in questo, è specchio perfetto della policy americana per la gestione del terrorismo all’estero.Il killeraggio di terroristi yemeniti, cominciato con la caccia agli uomini di Al Qaeda, non ha però prodotto i risultati sperati. Basta osservare cosa accade oggi a Sanaa e Aden per capire come l’intelligence occhiuta dei droni abbia tralasciato l’aspetto principale, quello politico, che solo negli ultimi tre mesi ha prodotto un colpo di stato, stragi nelle moschee e l’inizio di una vera e propria guerra civile, dove lo Stato Islamico avrà gioco facile nell’infiltrarsi. Dunque, lo Yemen oggi sta peggio di ieri, nonostante i droni.

Inoltre, le tragedie mediorientali ci hanno fatto dimenticare, anche per motivi di correttezza politica, la presenza e il ruolo dell’Islam nei Balcani. Le forze di polizia italiane, pur lavorando con strumenti tradizionali, esercitano un efficace controllo sul territorio, con maglie molto strette attraverso le quali anche i pesci piccoli come i tre arrestati di cui sopra fanno fatica a nuotare. E conoscono bene il terreno e il contesto in cui si muovono gli elementi sovversivi. Uno di questi è appunto l’Albania, testa di ponte di una regione storicamente sensibile al radicalismo islamico.

Mentre i media e una certa politica indicano negli sbarchi in Sicilia il vero pericolo dell’infiltrazione terroristica, l’intelligence e le forze di polizia sanno bene che in quel modo si osserva solo il dito e non invece la luna. E che i confini sensibili sono piuttosto quelli turco-greci, da cui i combattenti vanno e vengono per i territori occupati dallo Stato Islamico. Quelli kosovari, dove c’è un vero e proprio “buco” nell’area Schengen. I passaggi macedoni che conducono fino alla Slovenia che, come noto, confina con l’Italia. E l’Albania, che ha nella Puglia il suo “porto sicuro”.
. Negli ultimi mesi i Balcani stanno emergendo all’attenzione internazionale per il radicamento di cellule jihadiste legate allo Stato Islamico o ad Al Qaeda. L’area in questione, caratterizzata da una forte instabilità sociale, è una sorta di enclave che accoglie elementi determinati ad arricchire gli organici dei gruppi di miliziani dell’ISIS, nonché coloro che, militanti e reduci provenienti da Siria ed Iraq, sono intenzionati a raggiungere un porto amico nel cuore dell’Europa.

È un fatto noto ai servizi di sicurezza di tutto il mondo con quanta facilità l’ISIS in particolare riesca a reclutare nuovi militanti nei Paesi dei Balcani Occidentali. Bosnia Herzegovina, Kosovo, Albania, Macedonia e Bulgaria sono un vero e proprio vivaio dal quale attingere nuovi volontari. Di recente, si sono registrati diversi arresti di soggetti intenzionati a lasciare i rispettivi Paesi per arruolarsi come combattenti della causa islamica. Le stime relative a kosovari, albanesi, macedoni e bosniaci che si sono uniti ai gruppi radicali in Siria ed Iraq indicano che le cifre dei combattenti sono in costante ascesa.

Il pericolo, dunque, è noto e reale. Lo Stato Islamico minaccia a parole la nostra sicurezza. Ma la tenuta dell’Italia c’è e si spiega sì con la buona politica e la cultura della diplomazia, ma anche con il prezioso lavoro degli apparati deputati alla nostra difesa e con la cultura della sicurezza che, basata su anni di esperienza, sopravvive a leggi insulse e insufficienza cronica di fondi. Una cultura che non va dispersa ma che deve essere rivitalizzata e adeguata alle nuove minacce.

Fonte: Lucio Tirinnanzi, Lookout

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