Roma, 28 marzo 2015 ODIOSA POLEMICA SULLE MEDAGLIE DEL GIORNO DEL RICORDO Il caso sollevato nei giorni scorsi sulla stampa circa il conferimento dell’onorificenza prevista dalla Legge n. 92 del 2004 (Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata) discende semplicemente dall’ignoranza dello spirito e della lettera della legge, alla luce anche dei lavori parlamentari ai quali ho personalmente collaborato. Durante la discussione nelle commissioni parlamentari competenti circa l’estensione dell’onorificenza si pose il problema di escludere quanti avessero commesso “crimini di guerra” accertati dai tribunali italiani, che come si sa operarono da subito dopo la Liberazione del 1945. Si ritenne quindi, anche dai parlamentari del PD, che non potessero escludersi a priori i combattenti della RSI per il solo fatto di essere tali. L’esclusione di chi “avesse combattuto contro l’Italia” voleva invece evitare che dell’onorificenza potessero fregiarsi cittadini italiani arruolati nelle forze armate del III Reich, come purtroppo ve ne erano provenienti da tutte le regioni italiane. Affermare che i militari dei reparti della RSI che combatterono sul confine orientale contro formazioni straniere, quali erano quelle iugoslave, proprio al fine di difendere quel confine del territorio nazionale definito, dopo la Grande Guerra, dal trattato italo-iugoslavo di Rapallo del 1920, avessero combattuto “contro l’Italia” apparve alla coscienza politica e morale della stragrande maggioranza del nostro Parlamento come un criterio iniquo e discriminatorio, contrario ad ogni principio di solidarietà umana e di riconciliazione nazionale. Il conferimento dell’onorificenza ai parenti del singolo militare, caduto non in combattimento, ma ucciso dopo la cattura – in violazione delle norme elementari del diritto internazionale di guerra – non significava affatto riconoscere legittimità alla sedicente Repubblica Sociale Italiana, ma riconoscere semplicemente il sacrificio di una persona che aveva perso la vita nelle stragi di cittadini italiani, comunque collegate alla illegittima invasione del territorio metropolitano italiano da parte dei partigiani di Tito, al di là dei confini della Iugoslavia del 1940. Si sono così rispettati rigorosamente i principi del diritto e della legalità internazionali, come si confà ad un paese civile, come riteniamo essere la nostra Repubblica. Il fatto che alcune di queste persone (sotto le due cifre) possano figurare nelle “liste dei criminali di guerra fascisti” indicati dai libelli della propaganda della Iugoslavia comunista (regime non certo rispettoso dei diritti umani) non è stato ritenuto dirimente dalla Commissione esaminatrice, dato il carattere faziosamente politico di tali liste, alle quali non è mai stata data alcuna rilevanza giuridica nelle sedi internazionali. Se poi questa propaganda straniera di un regime defunto debba valere di più delle sentenze dei tribunali italiani emesse dopo la Liberazione o delle libere decisioni del nostro Parlamento democratico, lo lascio al giudizio onesto e sereno di qualsiasi italiano, che si senta parte della nazione e riconosca il sacrificio di chi per questa patria ha dato la vita, anche se si trovava dalla parte “sbagliata” della storia. Una cosa è il giudizio storico sulla dittatura fascista e sui danni irreparabili che ha recato al nostro paese, altro è disprezzare le persone che in contingenze difficili ha comunque perso la vita nella convinzione di servire il proprio paese. Si ricordi che il 90% delle vittime delle Foibe e del Gulag iugoslavo erano civili delle province italiane invase dall’esercito partigiano iugoslavo (Pola, Zara. Fiume, Gorizia e Trieste), compresi partigiani di nazionalità italiana, comunisti e non comunisti, resistenti antifascisti e membri dei Comitati di Liberazione Nazionale di quei territori che, ritenendo esorbitanti le pretese annessioniste iugoslave (fino alla pianura friulana), speravano in un’equa definizione dei nuovi confini, conforme ai principi dell’autodeterminazione, secondo gli stessi accordi intervenuti fra Tito e gli Alleati prima della fine delle ostilità. Questa premessa di carattere generale, morale, giuridico e politico, nulla toglie ovviamente alla discrezionalità delle decisioni degli organi preposti al conferimento delle onorificenze, sulla base della documentazione ad essi pervenuta. On. Lucio Toth (Vicepresidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati)

Posted on March 28, 2015


La breve, tragica e gloriosa vita del giovane regio carabiniere minervinese, in servizio nella zona di Trieste prima e Gorizia poi, coinvolto nella tragedia delle Foibe e trucidato nella 2^ foiba di Basovizza

 

Sottoporre a verifica opinioni e prese di posizione che sembrano ormai  acquisite per il solo fatto di essere state rese pubbliche, costituisce un esercizio critico particolarmente stimolante, in grado di arricchire un’esperienza culturale.

Accetto la proposta dei componenti dello staff di Minervinolive perchè mi sembrano  seriamente interessati alla diffusione della notizia in maniera libera e leale,   scevra da  preconcetti soprattutto partitici e aperti alla realtà. Insomma mi sembrano appassionati alla  libertà con una modalità gestionale, tra l’altro, autonoma e quindi difficile.

L’argomento di cui ci occuperemo nella presente circostanza riguarda Minervino Murge in rapporto ai tragici eventi delle Foibe che, come molti sanno,  coinvolsero le popolazioni della  vasta area geografica della parte orientale del Veneto, la Venezia Giulia, la Slovenia e la Dalmazia, a partire dal settembre 1943 fino a tutto il ’45 e oltre, a guerra ampiamente conclusa.

Ma cosa centra Minervino con le Foibe?
Tutta quell‘area è sempre stata abitata dai Veneziani da tempo immemorabile e all’indomani della Grande Guerra l’Italia, pur essendo una potenza vincitrice, era uscita mortificata dagli accordi di pace, per l’insistenza della potenza americana a ridimensionare le sue aspettative verso est. Tutto ciò contrastava con quanto era stato stabilito nel Patto di Londra. Gli stessi U.S.A., non avendovi partecipato, si sentivano disimpegnati rispetto agli Inglesi e Francesi e quindi autorizzati ad imporre una propria linea politica.

Dopo  il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 che, pur mettendo fine ai contrasti tra governo italiano e il resto della Intesa, Inghilterra e Francia e con gli stessi USA  e all’indomani della epopea di Fiume, la politica del fascismo favorì la presenza di lavoratori italiani che vennero avviati al lavoro in quelle zone con al seguito le proprie famiglie.

Allora sono almeno due i fattori su cui si basano i rapporti tra quelle terre e i Minervinesi. Di qui possono discendere due piste di ricerca.   L’una riguarda la vita di Minervino  nel periodo degli sfollati e dei profughi. Il porto di Barletta insieme a quello di Ancona sono stati meta dei piroscafi che fecero la spola con l’altra sponda dell’Adriatico per mettere in salvo migliaia di persone in fuga dalla minaccia delle truppe slave nazional-comuniste del maresciallo Tito. A questo proposito accenniamo solamente che presso l’istituto orfanotrofio femminile “Gesù, Giuseppe e Maria”, sono state ospiti per molti mesi almeno dieci bambine orfani.  Sarebbe molto interessante conoscere dove ora siano e cosa facciano, essendo plausibile pensare che siano ancora in vita.

L’altra in base alla quale Minervino, come tanti altri paesi  dell’entroterra meridionale, ha dato tanto in termini di emigrazione fin dai tempi della Grande emigrazione transoceanica di fine ‘800. Indagare sugli emigrati del nostro territorio, partiti  per ragioni di lavoro all’indomani della prima guerra mondiale sarebbe importante.  E’ certo che diverse sono le famiglie emigrate tra cui la famiglia GIORGIO Sergio e le famiglie FERRANTE, tutte residenti a Zara. Inoltre molti sono stati i militari, gli appartenenti alle varie forze dell’ordine e i civili minervinesi che vivevano e operavano in quell’area.

Ebbene, nell’ambito di questa pista di ricerca, focalizziamo l’attenzione ora sulla breve, tragica e gloriosa vita del giovane regio carabiniere minervinese Fusano Mario, in servizio nella zona di Trieste prima e  Gorizia poi,  coinvolto nella tragedia delle Foibe e trucidato nella 2^ foiba di Basovizza, denominata Abisso Plutone.

Successivamente ci occuperemo di altri due minervinesi, uno Paradiso Vincenzo nato il 25 aprile 1903 e infoibato a Barbana d’Istria – Pola – il 4 ottobre 1943, di professione barbiere e l’altro Luigi Di Lecce  il 19 ottobre 1906  carabiniere a Gorizia sin dagli anni ’20 morto a Gorizia il  2 maggio 1995.

Il Di Lecce insieme al tenente Tonarelli – comandante dei carabinieri di Gorizia e poi generale dell’Arma – saranno i soli  a sopravvivere  dell’intera tenenza della citta’ perché riusciranno a fuggire ad Udine.

Sappiamo tutti cosa è una foiba?
Generalmente è un inghiottitoio naturale variamente profondo, molto simile alle grave presenti sulla nostra Murgia, a volte scavate ulteriormente per motivi di ricerca e sfruttamento minerario. Anche la foiba  di Basovizza è un profondo pozzo, scavato all’inizio del ‘900 per estrarre bauxite, profondo fino a più di 200 metri per l’estrazione del carbone e poi abbandonato. Nei  pressi di questa località si trova un monumento che ricorda quattro membri del TIGR sloveni condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato nel 1930 nell’ambito della politica di deslavizzazione che il Fascismo perseguiva.

La Foiba di Basovizza, dichiarata monumento nazionale l’11 settembre 1992 dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga è il simbolo di tutte le atrocità commesse sul finire della seconda guerra mondiale e negli anni successivi dai partigiani jugoslavi, dalle milizie del dittatore comunista Tito, con l’occultamento di un numero imprecisato di cadaveri – dai 3000 ai 10000 – insieme a prigionieri, militari, religiosi e civili vivi.

Secondo lo storico R. Pupo è impossibile calcolare il numero esatto dei corpi infoibati in tutte le foibe presenti sul territorio italiano e slavo. Per quanto riguarda la foiba di Basovizza o pozzo della miniera si afferma invece  che il calcolo possa essere compiuto in base alla constatazione della differenza della profondità tra il ’45, m. 228 , e dopo il ’45,   m. 198. I 250 metri cubi riempiti, secondo questa stima, avrebbero contenuto corpi umani.

Il nostro giovane carabiniere Mario si trovava  in quelle zone in servizio. Apprendiamo dal suo foglio matricolare.
Il 19 giugno 1939 “soldato di leva 1920 – Distretto di Barletta- rilasciato in congedo illimitato.

Il 22 marzo 1940 “chiamato alle armi nel 15° Regg.to Artiglieria – D.F. Fanteria “PUGLIE ”(38)(distanza a Conegliano Veneto).
Il 5 febbraio 1941 mobilitato (1° R.M.V.).
Il 14 febbraio 1941 “giunto in territorio dichiarato in stato di guerra”.
Il 16 febbraio 1941 “partito per l’Albania imbarcandosi a Bari sul piroscafo
Il 17 febbraio 1941 “sbarcato a Durazzo”.

Il 22 settembre 1941 “trattenuto alle armi ai sensi della disposizione del foglio di ordini n. 175 disp.35^ in data 1/9/1941”.
Il 1 maggio 1942 “ presso la 73^ Sezione Salmerie mobilitata rimanendo in territorio dichiarato in stato di guerra”.

Il 27 luglio 1942 “effettuato il pagamento della somma di L.483 corrispondenti a giorni 30 di licenza ordinaria non fruita del periodo 1/6/1941 al 10/6/1942…partito per l’Italia (via terra) per licenza premio di giorni quindici pi?’ il viaggio, cessando di essere mobilitato”.
Il 29 agosto 1942 lo vediamo “carabiniere ausiliario a piedi della Legione di Bari con vincolo di servizio fino a sei mesi dopo la cessazione dell’attuale stato di guerra” .

Il 6 maggio 1945  viene dichiarato ”disperso in seguito ad eventi della guerra 1940/’43 in T. M.”.
Il 1 marzo 1947 si scrive che “Rilasciato verbale irreperibilità dal Com.do Distretto di Barletta …dal tele 62000/AEI dal Ministero di Guerra e dal fg. n. 22/241 del 5.4.1947
della stazione Carabinieri di Minervino.

Il 1 agosto 1954 è riportato il trasferimento dal Distretto Militare di Barletta a quello di Bari a seguito della revisione dell’organizzazione territoriale dei Distretti.
Il 9 settembre 1943 risulta “in licenza illimitata senza assegni… ”

Mario era nato a Minervino Murge il 4 marzo 1920 da papà Pasquale e da mamma Stella Specchio. Era il più piccolo di sette figli dopo Antonio, Vincenzo, Maria Giuseppe, Michele, Anna, Luigi. A seguito della morte prematura dei due genitori, il papà morì per un incidente di lavoro in campagna quando Mario aveva 5 anni, sua madre Stella qualche anno dopo nel ’33,  il  giovane Mario venne accudito dalle sorelle maggiori Anna e soprattutto Maria Giuseppe.

Prima del servizio militare di leva che, come abbiamo visto, terminò nel ‘39, Mario visse la sua infanzia e la sua breve adolescenza in Vico II° San Lorenzo al n. civico n. 101, tra la parte  sottostante la Chiesa dell’Incoronata e la famosa scalinata di Ismaele. Era un ragazzo gioviale e socievole, aveva  un bell’aspetto fisico, capelli ondulati e occhi castani; lavorava come manovale e come scalpellino.

Mario, che aveva terminato i suoi obblighi militari il 27 luglio ‘42,  appena un mese dopo, il 29 agosto, era  regio carabiniere; infatti giovane di ventidue anni, attento e attivo qual’era e con tre anni di servizio militare sulle spalle, dopo aver tentato senza esito la carriera militare nella Guardia di Finanza, entrò a far parte dell’arma dei Carabinieri, prima a Bari e poi, su richiesta di trasferimento al nord Italia, a Trieste- Voschia e Aidussina in Slovenia ed inifine Gorizia.

Di lì a poco, dopo l’8 settembre del ’43, la vita di carabiniere o di un qualsiasi altro lavoro in divisa, nella zona di Trieste o di Gorizia, sarebbe stata impossibile.
Chiunque fosse stato italiano, impiegato pubblico o prete o militare o anche paradossalmente semplice dirigente comunista locale contrario al regime titino  la sua vita sarebbe stata segnata. E cosi fu per Mario.

Apprendiamo dalla tesina di storia di diploma della sua pronipote Alessia Villani ( figlia dell’instancabile ricercatore papà Giulio, nipote della sig.ra Maria Giuseppe sorella di Mario) presentata agli esami di stato lo scorso a.s. 2013/14 al Liceo Scientifico “M. Curie” di Collegno (To), diverse toccanti testimonianze.

La prima è una lettera che Mario scrisse a sua sorella Maria Giuseppe da San Giorgio di Nogara provincia di Udine il 14 settembre 1943: ”Cara sorella, dopo parecchi giorni di silenzio vengo a te, facendoti noto il mio ottimo stato di salute, mi auguro di sentire lo stesso di tutti voi. Non preoccupatevi di me perchè io me la passo bene e che purtroppo da quanto si sente io mi trovo nella lista dei fortunati come vedete pure che mi trovo a San Giorgio di Nogara, niente da mettervi in sospetto che quanto io vi dico di preciso […]
Se volete scrivermi qualche rigo me lo indirizzate agli indirizzi che al più presto vi farò sapere, ma con precisione non posso assicurare dove andrò a finire.  …
…vostro fratello Mario
”.

La seconda è un breve biglietto dell’ 8 agosto ’43 da Gorizia.  Mario dice di godere “… ottimo stato di salute….”

Mario sarà catturato e immediatamente infoibato dai partigiani di Tito il 7 maggio 1945 a guerra ormai conclusa e da quel momento per lo  Stato italiano Mario risulta disperso.

La stessa Alessia a pag. 9 parla dell’Abisso Plutone, cavita’ di m. 116 di profondita’ e m. 168 di camminamento in grotta. Qui nel 1947 furono ritrovati 21 corpi, nel 2006 furono ritrovati ossa umane e oggetti vari, nel 2014 furono ritrovate due lapidi, poste lì nel 2009 dal papà di Alessia, Giulio.   Oggi sono sotto controllo  della Lega Nazionale di Trieste e prossimamente esposte alla Foiba di Basovizza

Da una delle due lapidi si evince la data di morte di Mario: 7 maggio 1945.
Nel 2008, dopo 63 anni, alcuni componenti della sua famiglia, con tenacia sono venuti a conoscenza del luogo in cui Mario e’ stato infoibato e dal quel momento ogni anno si recano alla foiba per un saluto al loro caro.
Nella giornata del 10 febbraio del 2009, giorno del ricordo dei martiri delle foibe, Mario Fusano è stato ricordato con una medaglia e una pergamena rievocativa al Quirinale a Roma. A ritirare l’onorificenza è stato suo nipote Pasquale, figlio della sorella sig.ra Maria Giuseppe moglie di Giulio Villani (vd. Foto)

Anche quest’anno il 10 febbraio presso Palazzo Chigi e la Prefettura di Barletta hanno ricevuto la stessa onorificenza, a Roma il figlio di Pasquale Giulio e sua figlia Alessia e a Barletta la nipote sig.ra Stella figlia di Luigi fratello di Mario coniugata Balice  e suo figlio Luigi.

Con questi eventi di spessore nazionale le pagine di storia locale minervinese si arricchiscono e si illuminano. Non resta che prendere atto e dimostrare di essere all’altezza della situazione. Abbiamo la fondata speranza che l’Amministrazione Comunale saprà cogliere tutta l’importanza. Un suggerimento, il prossimo 7 maggio ricorrerà il settantesimo anniversario della morte di Mario.
Ci saremo? Spero proprio di sì.

http://www.minervinolive.it/rubriche/2575/articoloDett.aspx

 

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