ARENA DI POLA/ NON HA SENSO OPPORSI AL CORSO DELLA STORIA – di Silvio Mazzaroli

Posted on September 25, 2014


POLA\ aise\ – “”Quando penso al valido contributo dato dagli italiani alla società croata, nella cultura, nella politica, nella ricerca, nell’istruzione e nello sport, devo dire che senza di loro la Croazia non sarebbe stata la stessa”. A dirlo, in occasione dell’incontro con il Presidente Napolitano avvenuto a Pola, presso la Comunità degli Italiani, il 3 settembre 2011, è stato il Presidente croato Josipovic. Ai più scettici e prevenuti potrà allora essere apparsa poco più che una captatio benevolentiae ma, di fatto, suonava come una nota di merito per noi italiani ed in particolare per noi istriani e polesani di lingua e cultura italiana”.

Si apre con queste riflessioni l’editoriale a firma di Silvio Mazzaroli che campeggia in prima pagina sul nuovo numero, quello di settembre, del mensile L’Arena di Pola, diretto da Paolo Radivo.

“Era, comunque, quella una tappa del percorso di riavvicinamento tra italiani e slavi – la cui persistente conflittualità può essere fatta risalire al periodo 1914-1945 – avviato il 13 luglio 2010 con il Concerto dell’Amicizia a Trieste e rilanciato il 6 luglio 2014 a Redipuglia con l’esecuzione del Requiem per le vittime di tutte le guerre – Le vie dell’Amicizia, nell’ambito delle celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra.
Ancora, il successivo 7 luglio, all’inaugurazione congiunta con il Presidente Napolitano della Panchina della pace, il Presidente sloveno Borut Pahor, affacciandosi da Monte Santo sulla piana di Gorizia, ha affermato che “…la pace va perseguita in modo attivo […] perché se non c’è gente che attivamente la vuole, la guerra può capitare…”.
Sono stati episodi che hanno visto il coinvolgimento dei massimi rappresentanti di Italia, Slovenia, Croazia e, limitatamente alle ultime circostanze, Austria e che si possono annoverare tra i non molti esempi in cui iniziative volte alla riconciliazione tra i popoli adottate ai massimi livelli istituzionali si sono rese interpreti del buon senso della gente comune, decisamente stanca di contrasti e divisioni. Quel buon senso che, ahinoi, troppo spesso viene inficiato da quanti, a livelli intermedi, arrogandosi il diritto di rappresentare una qualche specifica categoria di individui, anziché preoccuparsi del benessere generale e collettivo, curano interessi contingenti quando non anche solo personali.
È questa, per noi esuli da Pola, una nota amara poiché il percorso di ricucitura tra chi, italiano, fu costretto ad abbandonare la propria casa e chi, connazionale e non, tuttora risiede nella nostra amata Città e più in generale in Istria, da tempo avviato con convinzione dalla nostra Associazione, incontra ancora non poche difficoltà. Infatti, i piccoli passi compiuti dai primi anni ’90 dopo l’implosione della ex Jugoslavia, con la modesta accelerazione dovuta anche ai quattro raduni da noi tenutivi negli ultimi anni, hanno sin qui poco più che scalfito il muro di pregiudizi ed incomprensioni esistenti in merito.
Nei tempi post-ideologici che viviamo è lecito chiedersi il perché del permanere di una tale situazione di stallo. Lo è tanto più se si considera che anche al di là degli ormai inconsistenti confini del passato si avverte da tempo la medesima esigenza di riavvicinamento. Lo prova un documento presentato già il 12 novembre 1994 da Loredana Bogliun, Presidente del comitato promotore del Primo Congresso Mondiale degli Istriani, organizzato dalla Regione Istriana e tenutosi a Pola dal 13 al 16 aprile 1995, in cui si affermava che la minoranza italiana presente in Istria, riconosciuta dalla Costituzione croata, è una componente essenziale di detta realtà di cui contribuisce a definire “lo specifico carattere etnico, quale espressione dell’interculturalismo istriano che fa riferimento sia alla componente slava che latina dell’Istria” e nelle cui conclusioni si caldeggiava, tra l’altro, “il ritorno degli esuli istriani nella terra natale” quanto meno in forma di collaborazione culturale, imprenditoriale e commerciale.
È ben vero che queste belle parole, presenti negli indirizzi programmatici iniziali della Dieta Democratica Istriana (DDI), hanno poi avuto, per i frequenti rigurgiti nazionalistici croati, uno scarso seguito ma lo è altrettanto che nel frattempo, non essendosi mai fermata la ruota della storia, sono intervenuti significativi mutamenti quali il miglioramento dei rapporti bilaterali italocroati che – come sostenuto dai rispettivi Presidenti – sono oggi ottimali sia sul piano politico che economico e, soprattutto, l’ingresso della Croazia nella comune casa Europea. Non dovrebbe poi essere privo di peso il fatto che proprio il predetto interculturalismo istriano è ancora oggi alla base dell’azione politica della DDI, partito di maggioranza e di governo in Istria ed a livello nazionale, volta alla conservazione dell’autonomia amministrativa della penisola da Zagabria. Una specificità, quella istriana, peraltro ampiamente riconosciuta e sostenuta, anche in tempi recentissimi, dal succitato Presidente Josipovic.
Se, come dovrebbe, tutto questo ha un senso e tenuto conto – rifacendosi al passaggio d’apertura del presente articolo – che la stessa Pola senza l’apporto degli italiani di ieri sarebbe oggi ed a maggior ragione molto diversa da quella che è, risulta poco comprensibile come proprio nella nostra Città, più che altrove in Istria, si percepisca un’ostilità di fondo ad un fattivo riavvicinamento tra cittadini di ieri e di oggi, alla possibilità per noi esuli di sentirci graditi ospiti in quella che, non per colpe bensì per meriti, è stata anche “casa nostra” e che del nostro essere stati suoi cittadini ci siano in loco visibili e, soprattutto, rispettati segni.
In definitiva, quello che vi si respira è una sorta di ostracismo nei confronti di un nostro, per quanto limitato ed episodico, “ritorno”. Sembrerebbe quasi che ciò a cui aspiriamo, come compensazione morale e come segno tangibile di ricomposizione di un tessuto sociale che è stato strappato dalla Storia, come superamento di un passato che è stato difficile per tutti e come prova che è il presente che si vuol vivere ed il futuro che si vuol costruire, sia percepito come pericoloso. Forse, stando a quanto detto da Nelida Milani che conosce molto bene la realtà locale – “Pericoloso per chi non vuol gettare ponti e intende restare arroccato sulla sua torre e porsi in una condizione di vantaggio tenendosi stretta solo la sua memoria. È un atteggiamento di separazione che nasconde solo una grande paura. Questa paura c’è ancora a Pola” (La Voce del Popolo, 17 aprile 2014) – le cose stanno proprio così.
Non per questo ci si deve arrendere. Anzi! Stimolo a perseverare nel cammino intrapreso, per cercare di vincere fobie che oggi non hanno davvero più alcuna ragione d’essere, ci viene anche dalla “primizia” rappresentata dalla presenza, oltre a quella di diverse altre figure istituzionali, dell’attuale sindaco di Pola Boris Miletic alla nostra celebrazione dell’eccidio di Vergarolla dello scorso 18 agosto (L’Arena di Pola, 21 agosto 2014). Si è trattato di una partecipazione che abbiamo molto apprezzata, interpretandola come un lungamente atteso segnale d’apertura per un dialogo costruttivo, e che ci auguriamo possa essere foriera di positivi sviluppi.
Stando a quanto precede, avendo letto quanto a proposito di “abbraccio mortale” con i rimasti è apparso su un organo di stampa degli esuli, avendo preso visione di alcune dichiarazioni polemiche relative al passato contenute in articoli pubblicati di recente anche sul nostro periodico e fermo restando il diritto di ognuno di coltivare e tutelare le proprie memorie ed i propri valori, viene spontaneo chiedersi che senso abbia oggi opporsi a quello che, pur con un pizzico di azzardo, può essere definito il nuovo corso della storia che più da vicino ci riguarda.
La risposta che il buon senso suggerisce è: nessuno!
Non è, pertanto, fuori luogo rivolgere a tutti coloro che, volutamente ciechi nei confronti dei piccoli o grandi passi sin qui compiuti, ancora si oppongono ad una effettiva e sempre più condivisa volontà di pacificazione l’invito a rivedere le proprie posizioni e ad attivarsi per promuovere quel riavvicinamento che appare essere negli interessi di tanti. L’invito è a farlo con lungimiranza e coraggio senza i quali mai si riuscirà ad uscire da quella stagnazione dei rapporti che, tuttalpiù atta a garantire la sopravvivenza per rendita di posizione a qualcuno, impedisce a tutti gli altri di veder migliorate le proprie condizioni di vita”. (aise)

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