RASSEGNA STAMPA MAILING LIST HISTRIA N° 878 – 22 GIUGNO 2013

Posted on June 24, 2013


N. 878 – 22 Giugno 2013

                                   

Sommario

 

 

 

 

300 – La Voce del Popolo 17/06/13 Esuli da Pola festeggiano riuniti in Comunità (dd)

301 – La Voce del Popolo  17/06/13 I fiumani riuniti tra le sacre mura della cattedrale (Erika Blečić)

302 – La Voce del Popolo 15/06/13 Brazzoduro: «I giovani devono conoscere il dialetto fiumano» (mkb)

303 – La Voce in più Dalmazia 08/06/13 Omaggio – Missoni il simbolo dei “fratelli della costa” (Dino Saffi)

304 – Il Piccolo 17/06/13 Caso Irci, gli istriani contro il Comune: «Si è rotto un patto» (Gabriella Ziani)

305 – La Stampa 21/06/13 Giovanni Palatucci se questo è un giusto (Paolo Mastrolilli)

306 – Il Piccolo 16/06/13 Pola riapre la disfida della capitale (p.r.)

307 – Il Piccolo 17/06/13 Un italiano alla guida del Consiglio regionale quarnerino (a.m.)

308 – La Voce di Romagna 11/06/13 Storie e Personaggi – Le vicende del Battaglione Zara (Aldo Viroli)

309 – La Voce del Popolo 17/06/13  Cultura – Il Castello di Momiano ha tanta voglia di rinascere (Daniele Kovačić)

310 – Corriere della Sera 18/02/13  Eisenbichler, dalmata-canadese vince dil Flaiano di italianistica.

311 – La Voce del Popolo 19/06/13 Edit: iniziata l’era digitale (Silvio Forza)

312 – La Voce del Popolo 20/06/13 Raccolta di poesie bilingue dedicate alla sua Dignano (Vanja Stoiljković)

313 – Il Piccolo 15/06/13 Trieste – Da caffè a salotto culturale Così rinasce il San Marco (Gabriella Ziani)

314 – Il Piccolo 17/06/13 Crisi in Slovenia, ora crolla il turismo (Mauro Manzin)

315 – La Stampa 19/06/13  Bonino spinge la Serbia verso la UE (Antonella Rampino)

 

 

 

Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :

http://www.arcipelagoadriatico.it/

https://10febbraiodetroit.wordpress.com/

http://www.arenadipola.it/

 

 

300 – La Voce del Popolo 17/06/13 Esuli da Pola festeggiano riuniti in Comunità

Esuli da Pola festeggiano riuniti in Comunità


Partito anche quest’anno nel nome delle “vittime degli opposti totalitarismi” e degli impegni elettorali in sede di Assemblea generale dei soci, il 57º Raduno nazionale degli Esuli da Pola (il terzo nella città di origine) è entrato nel vivo sabato sera alla Comunità degli Italiani di Pola per l’ennesimo incontro con i polesi “rimasti”: un’occasione, questa, di gratificante e piacevole “star in compania” tra vecchie e nuove conoscenze, amicizie coltivate da anni e altre appena sbocciate. Serata di festa ma anche di teatro, con un pezzo dedicato ai “due volti dell’esodo”, “In malorsiga anche i drusi”, nell’allestimento della compagnia di prosa “Grado teatro”. Ed infine anche serata di riconoscenza ai benemeriti del Libero Comune di Pola in Esilio e della comunità italiana polese residente per i rispettivi apporti alla causa del mantenimento dell’italianità a Pola da un lato, e la diffusione della verità sull’esodo in Italia dall’altro.


«Istria Terra Amata» premia (anche) la polese Ester Sardoz Barlessi


Uno dei tre premi “Istria Terra Amata” è andato così alla poetessa polese Ester Sardoz Barlessi per “aver saputo rappresentare magistralmente, con una narrazione estrosa, a volte ironica ma ricca di umanità e pregna di emozioni, le lacerazioni del tessuto umano causate dal dramma dell’esodo e per aver sempre difeso, con grande coraggio, la cultura autoctona della terra d’Istria e della Città di Pola”. Nell’impossibilità di prendere parte alla cerimonia e ritirare la targa con l’effigie dell’Arena di persona, Ester Sardoz Barlessi ha parlato al pubblico con i suoi versi, letti da Roberto Stanich, mentre il premio è stato ritirato dal figlio Dalen. Il secondo dei tre premi è stato assegnato a Bruno Carra Nascimbeni per aver “saputo con la sua opera Istria terra amata – La cisterna, raccontare senza rancore la nostra storia a chi la conosce poco, emozionando invece chi quelle vicende le ha vissute”. L’opera ha avuto un successo strepitoso grazie alla compagnia di prosa Grado Teatro (il terzo dei tre benemeriti), che l’ha portata in scena in 36 occasioni, “aiutandoci a far conoscere agli italiani il dramma vissuto dalle genti istriane”. Dallo spettacolo è stato poi tratto un DVD che oggi costituisce un importante strumento didattico nella diffusione di nozioni sull’esodo giuliano-dalmata presso le scuole italiane.


Tra i quattro attestati di benemerenza assegnati in serata ai soci, ci sono anche quelli al sindaco uscente, Argeo Benco, e al direttore uscente dell’”Arena di Pola”, Silvio Mazzaroli. Ad entrambi va infatti il merito di aver “traghettato” gli esuli da Pola sulla via del ritorno nella città di origine, e aver così “realizzato il sogno di molti” dovendo intraprendere un cammino “per niente scontato” e spesso duramente contestato in ambito politico.

 

Tullio Canevari neoeletto sindaco del Libero Comune di Pola in esilio


A proposito degli impegni di ordine elettivo citati più sopra, sabato mattina si è riunita all’albergo Brioni l’Assemblea generale dei soci. Ne è emerso il nuovo Consiglio comunale, composto da quindici membri, e il nuovo sindaco nella persona dell’architetto settantaquattrenne Tullio Canevari, convinto sostenitore della “politica della riconciliazione”, che guiderà il Libero Comune di Pola in Esilio per il prossimi quattro anni. Paolo Radivo subentra invece al generale Silvio Mazzaroli alla direzione dell’”Arena di Pola”. Alla convocazione annuale dell’Assemblea sono intervenuti anche i massimi esponenti dell’Unione Italiana di Fiume, Maurizio Tremul e Furio Radin, entrambi pronunciando discorsi sentiti sul buon esito del percorso di “riavvicinamento” tra gli italiani di qua e di là dal confine di stato compiuto negli ultimi anni.


Ieri mattina il Raduno è proseguito al Duomo di Pola per la messa in suffragio delle vittime di Vergarolla e degli opposti totalitarismi. A seguire la cerimonia di posa di corone di fiori ai piedi del cippo monumentale nel parco adiacente presenti, autorità diplomatiche, civili ed ecclesiastiche, e più di duecento polesani tra esuli e residenti. La messa è stata cantata dal Coro misto della Società artistico-culturale “Lino Mariani” della CI di Pola, come vuole la tradizione dei riti liturgici celebrati al Duomo in lingua italiana. Successivamente la comitiva degli esuli ha visitato la mostra sugli “Histri” alla Chiesa dei Sacri Cuori e in seguito l’Acquario di Verudella. In serata il nuovo Consiglio comunale è tornato a riunirsi per l’elezione del vicesindaco, dei cinque assessori e del segretario nazionale, dopodiché esuli e residenti sono tornati a incontrarsi alla Comunità degli Italiani per un’altra piacevole serata musicale nella sede di via Carrara.


Icilio e Silvio nella Pola ritrovata


Icilio Degiovanni è nato a Pola e a tre mesi di vita, che era ancora un “fagottino”, era già imbarcato sul “Toscana” per lasciare la città natale. Icilio è verosimilmente il più piccolo esule da Pola che la storia dei profughi italiani abbia conosciuto. Non poteva conoscere la sua città natale, dunque, se non grazie ai ricordi dei genitori trasmessi nella melodiosa parlata istroveneta che custodisce con cura e immenso amore filiale. Icilio Degiovanni è oggi tra gli esuli da Pola partecipanti al Raduno, anche se i suoi ricordi d’infanzia sono tutti legati all’Italia e al Dopoguerra. La sua famiglia, ci ha raccontato, ha lasciato a Valovine una proprietà di quattro case per trasferirsi in una stalla di 24 metri quadri ad Aris, nei pressi di Monfalcone.

Diverso è il caso dell’amico Silvio Zulle, nato a Pola nel 1940. Il piroscafo che faceva la spola tra le due coste dell’Adriatico se lo ricorda a dovere, come ricorda bene che nel viaggio di sola andata perse di vista i genitori, errò a lungo per la nave e finì per perdersi tra i motori nella sala macchine. Un dramma nel dramma, insomma. Ma il peggio stava appena per compiersi: negli undici anni seguiti all’esodo, la famiglia del piccolo Zulle ha vissuto in undici diversi campi profughi del nord Italia per sistemarsi stabilmente a Torino, e “ricominciare a vivere”, solo nel 1957. (dd)

 

 

 

 

301 – La Voce del Popolo  15/06/13  Furio Radin: «Gli esuli sono le radici di Fiume»

Furio Radin: «Gli esuli sono le radici di Fiume»

FIUME | L’atmosfera di festa che si respira per tutta Fiume si è riversata anche nel Palazzo municipale, dove Dorotea Pešić Bukovac, presidente del Consiglio cittadino, ha accolto la delegazione degli esuli fiumani, accompagnata dal console generale d’Italia a Fiume Renato Cianfarani, nonché dai dirigenti dei rimasti. A fare gli onori di casa c’erano anche i due vicesindaci Miroslav Matešić e Marko Filipović. La delegazione della diaspora era formata da Guido Brazzoduro, Laura Calci e Mario Stalzer, rispettivamente presidente, vicepresidente e segretario del Libero Comune di Fiume in Esilio, da Amleto Ballarini e Marino Micich della Società di Studi fiumani di Roma, e da Diego Bastianutti, rappresentante degli esuli in Canada. Assieme a loro c’erano anche l’on. Furio Radin, presidente dell’Unione Italiana e deputato della CNI al Sabor, Agnese Superina, presidente della Comunità degli Italiani di Fiume e Roberto Palisca, presidente del Comitato esecutivo della CI. L’ormai tradizionale incontro tra le autorità cittadine e la delegazione degli esuli in occasione della festa del patrono, San Vito, quest’anno è stato particolarmente sentito, perché per la prima volta il raduno di tutti gli esuli fiumani si svolge proprio a Fiume e alcuni degli interlocutori a tratti avevano la voce rotta dall’emozione.


Nel dare il benvenuto agli ospiti, Dorotea Pešić Bukovac ha continuato l’ormai ben avviata prassi di ricordare ciò che è stato fatto dall’ultimo incontro, cioè nell’arco di un anno. Per prima cosa ha fatto riferimento alle recenti amministrative, grazie alle quali il sindaco Vojko Obersnel è stato riconfermato, cui è seguita la nomina dei due vicesindaci e la sessione costitutiva del nuovo Consiglio cittadino, di cui Dorotea Pešić Bukovac è stata rieletta presidente. Ha messo in evidenza che il nuovo Consiglio è formato da 22 uomini e 13 donne e che, a conferma della multiculturalità di Fiume, ne fanno parte tre consiglieri appartenenti alle minoranze (un serbo, un italiano e una montenegrina). “In fin dei conti, non per niente per la seconda volta Fiume è stata nominata ‘Città più trasparente nell’amministrazione’”.


Ricordando che queste sono giornate di festa, Dorotea Pešić Bukovac ha voluto accantonare almeno per un attimo l’argomento ‘politica’ passando invece a ciò che di buono è stato realizzato, o che sta per realizzarsi, a Fiume. In primo luogo ha ringraziato gli ospiti per il loro sentito e forte appoggio all’avvicinamento della Croazia all’UE: “Grazie per averci porto il vostro aiuto. Tra una quindicina di giorni entreremo nell’UE e molte delle cose che stanno accadendo in Città sono incentrate su questo evento”.


Da un incontro all’altro ci sono diverse cose che sono sorte, a Fiume, come ad esempio gli impianti sportivi, in cui a settembre si svolgeranno due importanti avvenimenti: il Grand Prix di Judo e la Fiera internazionale dell’Europa sudorientale. Senza dimenticare che è nato il primo ospizio, costruito e organizzato in collaborazione con l’Arcidiocesi.


Il console generale Cianfarani ha iniziato con i ringraziamenti alla Città per la consueta e calorosa accoglienza, sottolineando che i rapporti con Fiume sono eccellenti e si stanno intensificando. A conferma di ciò ha citato l’esempio della Settimana della cultura italiana organizzata l’anno scorso, quando Fiume ha confermato ancora una volta la sua veste multiculturale, di città aperta. “L’Italia ha lavorato molto per consentire di accelerare l’adesione della Croazia all’UE. Siamo certi che dal primo luglio i rapporti saranno ancora più profondi”, ha concluso il console generale.


Guido Brazzoduro ha rivolto “un saluto particolare in un incontro particolare, per voi, per il rinnovo dell’amministrazione; per noi, perché la nostra permanenza a Fiume è diversa dal solito. Infatti, oltre a essere questo il primo raduno a Fiume, ricorre il 90.esimo anniversario dell’istituzione della parrocchia di San Romualdo e Ognissanti, a Cosala”. “Abbiamo ritrovato i documenti che confermano l’istituzione della chiesa di Cosala, rione a noi vicino perché tanti nostri cari vi hanno trovato l’ultima dimora”. In merito al cimitero, Brazzoduro ha rilevato l’impegno della Città, anche in tempi di crisi, per il restauro delle tombe. Alla fine del proprio intervento, Brazzoduro ha pregato le autorità di trasmettere il suo saluto al presidente Ivo Josipović – che oggi sarà a Fiume – con il quale si è incontrato a Pola l’anno scorso. Infine, ha auspicato che “lo spirito dell’incontro di oggi sia presente anche quando ci ritroveremo nell’UE”.


Amleto Ballarini ha puntato sul ponte che è stato creato tra la sua generazione di esuli e le nuove generazioni delle scuole. “Quando è crollato il muro di Berlino la Società di Studi fiumani fece di tutto per ritornare alla città natale. Allora parve che la strada più logica e breve passasse per le nuove generazioni. Così istituimmo i premi, perché i ragazzi scoprissero la storia di Fiume, per noi essenziale. L’Istituto croato di Storia consentì di trovare il modo di collaborare insieme per ricostruire le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale. Questa era la parte morale di ciò che avevamo lasciato alle spalle, serviva trovare la maniera per essere ancora presenti. Così partimmo con i premi, senza mai chiedere ai vincitori a quale etnia appartenessero. Perché la tolleranza è un’antica tradizione, a Fiume”. Per Ballarini, “oltre alla collaborazione con l’Istituto croato di Storia, il momento più eclatante è stato quando l’ambasciatore croato a Roma è venuto a visitare il nostro museo”.

Il vicesindaco Matešić ha ringraziato il console generale Cianfarani e l’on. Radin “per il vostro impegno perché la CNI si senta meglio e inclusa. Inoltre, da ciò deriva anche una maggiore ricchezza culturale per i cittadini della maggioranza”. Il vicesindaco ha aggiunto che si sta lavorando alacremente a un progetto iniziato dalla CI, cioè all’asilo nido per i bambini della CNI.


La presidente della CI, Agnese Superina, ha puntualizzato che il progetto è sostenuto dall’Unione Italiana, anche per il fatto che a Fiume non è mai stato costruito un edificio per i bambini della CNI in età prescolare. Ricordando che la tre giorni ricca di avvenimenti si svolge con il patrocinio della Città, ha espresso soddisfazione, perché ancora una volta la municipalità ha accolto il suggerimento della CI e assegnato il premio Città di Fiume a Francesco Squarcia “che con la sua musica ha portato la nostra cultura non solamente in Italia, ma in tutto il mondo”. Agnese Superina ha aggiunto che l’artista è nato a Fiume, ma vive in Italia; “però le sue visite alla città natale si fanno sempre più lunghe”.


L’on. Furio Radin ha porto le sue congratulazioni a Dorotea Pešić Bukovac, ricordando che sono stati colleghi nella Commissione parlamentare per i diritti dell’uomo e delle minoranze. “Abbiamo ringraziato tutti, ma non ancora chi va ringraziato più di tutti. Cioè gli esuli fiumani, che da qualche anno hanno avuto la forza di riprendersi in mano la propria città, culturalmente e simbolicamente. Una città che ha una cultura perché ha le sue radici e gli esuli sono le radici di Fiume. Oggi ho deciso di venire proprio per ringraziarli, con la ‘R’ maiuscola”, ha sottolineato Radin.


A conclusione dell’incontro è seguito il tradizionale scambio di doni. Le autorità hanno regalato copie di “Come leggere la città” di Radmila Matejčić (è stato evidenziato che il volume è in vendita presso la libreria dell’EDIT, scelta perché è la più longeva di Fiume). Da parte degli ospiti, Laura Calci ha porto un Album delle città italiane fotografate dall’aereo, mentre la presidente della CI ha distribuito copie de “La Tore”, appena uscita dalle stampe.

Erika Blečić

 

 

 

 

302 – La Voce del Popolo 15/06/13 Brazzoduro: «I giovani devono conoscere il dialetto fiumano»

Brazzoduro: «I giovani devono conoscere il dialetto fiumano»

È stata una graditissima e piacevole visita quella dei rappresentanti dell’Associazione Libero Comune di Fiume in esilio di Padova, i quali hanno visitato ieri il dipartimento di Italianistica presso la facoltà di Filosofia, nell’ambito dei festeggiamenti per il Patrono fiumano.

Il sindaco del Libero Comune di Fiume in Esilio, Guido Brazzoduro, accompagnato per l’occasione da Laura Calci e Diego Bastianutti, è stato accolto dal preside della suddetta facoltà, Predrag Šustar, nonché dalla responsabile del dipartimento di Italianistica, Gianna Mazzieri-Sanković e dalla prof.ssa Corinna Gerbaz Giuliano, ideatrice a autrice assieme alla prof.ssa Mazzieri-Sanković del corso di laurea triennale in Lingua e letteratura italiana, avviato nell’autunno del 2011.

Uno dei temi toccati nel corso della visita è stato il ruolo della pubblica istruzione e dell’università nel trasmettere alle giovani generazioni la storia, in particolar modo i fatti avvenuti in questi territori dopo la Seconda guerra mondiale, in primis i massacri delle foibe, tuttora un tema tabù nelle scuole. “Ora il dialogo deve aprirsi e documentarsi sulla verità. I fatti sono fatti e come tali vanno divulgati. Il discorso deve distillare una verità che poi va condivisa”, ha detto Brazzoduro.

Šustar e la prof.ssa Mazzieri-Sanković hanno sottolineato che oltre al corso di laurea triennale in Lingua e letteratura italiana, il dipartimento di Italianistica è impegnato nella preparazione della relativa specialistica. Inoltre, in questo periodo si tengono corsi di perfezionamento e aggiornamento per i docenti che insegnano l’italiano in Croazia. Questi corsi sono molto importanti, in quanto consentono ai frequentanti, provenienti da tutto il Paese, di approfondire la conoscenza della lingua, ma anche della cultura e delle istituzioni italiane. In questo senso, l’ambizione della facoltà e del dipartimento è di istituire a Fiume un centro di eccellenza per lo studio dell’italiano, che diventerebbe il più grande e importante in Croazia. Ribadita anche l’importanza del dialetto fiumano dal punto di vista culturale. “Credo sia molto importante che i giovani imparino il dialetto in quanto avvicina le persone che lo parlano”, ha detto Brazzoduro, il quale ha regalato alla facoltà alcune copie del Dizionario del dialetto fiumano.

Šustar si è soffermato sulla necessità di sfruttare di più l’infrastruttura e i contatti accademici, in modo da avviare collaborazioni concrete con importanti imprese italiane nei settori alimentare e farmaceutico.

All’incontro hanno preso parte anche Franco Finco, professore di lingua italiana e Maja Đurđulov, assistente presso il dipartimento di Italianistica, nonché un gruppo di studenti del primo e secondo anno del corso di laurea in Lingua e letteratura italiana. (mkb)

 

 

 

 

 

303 – La Voce in più Dalmazia 08/06/13 Omaggio – Missoni il simbolo dei “fratelli della costa”

Omaggio – di  Dino Saffi

 

Missoni il simbolo dei “fratelli della costa”

 

Con la scomparsa dello stilista Ottavio Missoni gli italiani di Dalmazia hanno perso il loro uomo simbolo, la loro bandiera. Missoni era un personaggio che, con la sua fama e la sua carica di umanità, di genuinità dalmata, era riuscito nell’impresa non facile di farsi conoscere e apprezzare da tutti. Sia dalla diaspora, sia dai rimasti, sia dalla maggioranza croata. Era l’uomo che univa simbolicamente le tante membra sparse, in patria e nel mondo della realtà dalmata. Pertanto la sua scomparsa ha suscitato dappertutto grande cordoglio. Pure la stampa croata ha dato ampio risalto alla figura e all’opera di Missoni.

Nelle ultime settimane la sua biografia (in primo luogo le sue imprese da atleta e i suoi successi da stilista) è rimbalzata su tutti i mezzi d’informazione. Noi desideriamo soffermarci qui soprattutto sul rapporto di Missoni verso la sua terra natia, sul modo come la percepiva, sui ricordi nell’ambito del mondo della diaspora. Quelli che Ottavio chiamava con un sintagma felice i “fratelli della costa” non lo dimenticheranno mai: lui, con la sua semplicità, la sua naturalezza, li ha rappresentati in ogni dove nel migliore dei modi. Ma anche l’opera di Missoni quale stilista è intrinsecamente legata alla sua terra natia: i suoi colori rievocano i paesaggi e le tradizioni della Dalmazia, sia della costa che dell’entroterra.

Nato nel 1921 a Ragusa (Dubrovnik), Ottavio è cresciuto a Zara. Per gli esuli è stato un testimonial prezioso della loro causa, uno schietto custode delle verità della diaspora dalmata. Dall’archivio di Padre Flaminio Rocchi, l’Apostolo degli Esuli, scomparso nel 2003, è emersa una lettera che indirizzò ad Ottavio Missoni nel 1999, in occasione della sua elezione a Sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio. Ne riportiamo alcuni passaggi che ben definiscono la figura dello stilista dalmata. “San Francesco diceva al frate ortolano di non zappare tutto l’orto, ma di lasciare un angolo allo stato selvatico affinché i fiori e le erbe crescessero allo stato naturale. Nell’orto raffinato e moderno degli stilisti, Missoni mi sembra quell’angolo: zig zag di colori, di luci, di sorrisi. Il ‘Cantico delle Creature’. Nei primi incontri anch’io cercavo lo stilista Missoni. Invece ho scoperto con curiosità divertita l’angolo di una baia dalmata, intima e calda, spettinata e dialettale. Lei, Signor Sindaco, Signor cavaliere del Lavoro, non ha mai coltivato un discorso. Ha gettato in mezzo a noi una manciata di parole colorate: la sincerità della natura”. Nel 2011, durante un’intervista al quotidiano triestino “Il Piccolo”, la giornalista Maria Cristina Vilardo ricordò a Missoni quella lettera di Padre Rocchi e così lo stilista ebbe a commentarla: ‘Ah, ma guarda che bela roba che gà scrito! Straordinario, mi quasi pianzevo quando go leto. Padre Rocchi ha scritto un libro stupendo sull’esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati, senza prender parte per nessuno.

 

Lui raccontava i fatti, i dati, i numeri, e basta. Veniva sempre ai nostri raduni di Zara, che facciamo una volta all’anno”.

Il presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Antonio Ballarin, ha sottolineato in un comunicato che gli esuli ricordano l’amore di Missoni “per la Sua Zara e la Sua Dalmazia e la costante, generosa vicinanza alla ANVGD. Rimane un simbolo della laboriosità delle genti giuliane e dalmate e del loro amore per l’Italia, che tributa all’esule da Zara pervenuto a fama mondiale il suo omaggio e la sua riconoscenza. Il suo nome si è affermato e rimarrà nella storia del costume e della creatività italiane, che con il contributo suo e della sua famiglia hanno raggiunto esiti di straordinaria qualità e di insuperabile eleganza. I colori mediterranei che hanno reso la sua Maison inconfondibile nel mondo, riflettono le tonalità e i contrasti della sua Dalmazia, del suo mare e della sua aspra e pungente natura. ‘Io – ha dichiarato in un’intervista del 1999 al Corriere della Sera – sono nato a Ragusa che si ostinano a chiamare Dubrovnik. Ma, sino a vent’anni, ho vissuto a Zara. Sarebbe là il mio paradiso. Ma purtroppo Zara, quella mia Zara, non esiste più. Eravamo in 20 mila. Quattromila sono morti sotto le bombe. Gli altri sono sparsi per il mondo. La città è stata distrutta al 70,75 per cento. Ti viene il sospetto che Zara non sia mai esistita. Ma sono infinite le circostanze nelle quali Ottavio Missoni ha rievocato e raccontato, nel suo elegante dialetto dalmato-veneto, la nostalgia dell’esule e la fatica della rinascita dopo la perdita di tutto. Per quel sentimento insopprimibile di rimpianto che diviene, paradossalmente, il più profondo rifugio dell’esule, Missoni ci ha accompagnato per decenni, sempre presente e disponibile agli appelli delle Associazioni degli esuli ad intervenire con la sua innata verve e la sua intatta semplicità che è degli uomini che hanno avuto esperienza della sofferenza e del duro riscatto. Ci mancherà enormemente. Avrà senz’altro raggiunto quel ‘paradiso immaginario, perduto’ come egli definì più volte la sua Zara o, meglio, avrà ritrovato il possibile paradiso’, come ebbe a dire la sua fedele consorte signora Rosita, la Dalmazia infine ritrovata. E con essa il carissimo figlio Vittorio, scomparso nelle acque venezuelane appena nel febbraio scorso, un dolore che ha sopportato con la dignità e la riservatezza delle genti di mare, delle genti dalmate. Ha segnato, per tutti noi, un esempio di come una persona sradicata, costretta a girare il mondo,

mal compresa, in Patria, nelle sue radici profonde, possa ricostruire, con prospettiva, una vita piena. Il vuoto che lascia è colmato dalla sua testimonianza di vita e ci piace immaginarlo in compagnia del Padre, a cui è ritornato, a disegnare, seduto su uno scoglio di un paradiso reale e ritrovato, con una tavola dagli infiniti colori, tanti quanti ne ha la Sua e la nostra Terra”.

 

Ma la figura di Missoni è importante anche perché lo stilista, pur ricordando sempre con affetto la sua Dalmazia e rievocando l’esodo, non ha mai ceduto alla tentazione di cadere nelle mitizzazioni. “Ma xe proprio tuti mona . me ciamè per dirve sempre le stesse robe no xe stufi?”. Iniziava così l’esule Ottavio quando lo chiamavano a ricordare la sua Dalmazia, la sua Ragusa, la sua Zara, ha rilevato Gian Micalessin sul Giornale.

 

“Ma quando la battuta lasciava il posto al sentimento il fiato di Ottavio ti prendeva per mano, ti trascinava tra le rocche di Ragusa, t’accompagnava tra le calli veneziane di Zara, ti faceva respirare gli odori di quel mare blu e profondo, di quella terra rossa e aspra. Ti faceva sussultare il cuore come quando ragazzino saltellava con quelle gambe da stambecco tra gli scogli della marina. Ma se il ricordo diventava nostalgia, se l’occhio del pubblico s’illanguidiva allora l’esule Missoni lo sferzava con quell’ironia sprezzante da dalmata indomito e orgoglioso: ‘Ma cossa xe tuti mona? Non son qua per farve pianzer, son qua per farve ricordar’. Raccontare, ricordare, emozionare significava per Ottavio riscattare ‘50 anni di silenzio e di mistificazione’, cancellare la sordina politica e morale imposta ‘tacendo su una verità scomoda’. La verità impertinente di un esule stilista capace di tessere e colorare anche l’esile filo del ricordo e della storia”.

Un anno e mezzo fa Ottavio aveva raccontato la sua storia nel libro autobiografico “Vita sul filo di lana”, scritto con il giornalista Paolo Scandaletti. Molto, nella sua storia, hanno contato i natali nella terra dalmata. “La Dalmazia”, si legge nella prefazione del libro, “è sempre stata dentro lui; i colori, i sapori, le sfumature di quel periodo hanno profondamente influenzato ogni suo tessuto, ogni suo modello”. Missoni ha sempre ribadito: “Noi della costa non siamo né danubiani né balcanici. La Dalmazia è sempre stata un crogiolo di lingue, il mare ha fatto comunicare tutti. Potranno cambiarci i passaporti, ma non conta nulla. La Dalmazia ha un’anima sua. E se qualcuno oggi la chiama Croazia del Sud io insisto a dire che è Dalmazia”. I ricordi sono quelli di un esule: “Lultimo Natale a Zara – ha raccontato anni fa – è stato quello del 1941, poi sono andato militare. Quando ci furono i bombardamenti degli anglo-americani, io ero prigioniero in Egitto, mio padre e mio fratello erano imbarcati. A casa era rimasta mia madre che, ai primi del 1944, è fuggita da sola a Trieste lasciando tutto, ma portandosi via il pianoforte, che ancora abbiamo”. Il resto andò perduto, anche la casa di famiglia a Ragusa. Certo quando si insisteva sulle nostalgie eccessive, Ottavio era pronto alla battuta, ma lui di certo non scherzava sulle cose che contavano davvero: il ricordo di Zara, la città perduta della sua infanzia, e il titolo di sindaco — un titolo assolutamente onorifico

e simbolico di cui era terribilmente fiero — del suo comune in esilio. Un esile filo che gli ricordava una civiltà scomparsa, la Dalmazia multiculturale, la Piccola Patria schiacciata tra la Balcania e l’Adriatico, stritolata dai nazionalismi e dalle follie del Novecento. Un mondo violentato, smembrato, cancellato. Probabilmente per sempre, purtroppo. Da qui l’impossibilità di un nostos; a differenza dell’eroe omerico, per Ottavio e per gli italiani di Dalmazia sparsi nel mondo non vi era più nessuna Itaca, alcuna casa ad attenderli. Penelope, Telemaco, Argo se n’erano andati da tempo. La Storia ha inghiottito tutto e tutti. Con voracità. Rimane soltanto il ricordo e una patria ormai immaginaria. Da qui il riserbo e il rifiuto della retorica. Come ha acutamente notato Giorgio Ballario su Barbadillo.it, Missoni si è sempre rifiutato di fare della tragedia del confine orientale “un mito incapacitante, un’ossessione fissata nel passato”. Ma proprio questo ha permesso che quel ricordo fosse patrimonio di pochi intimi, ha favorito la sua riemersione a livello non soltanto italiano. È anche merito suo se nella Dalmazia attuale, seppure timidamente, si cerca di ricucire lo strappo con il passato, di riportare alla luce antichi intrecci culturali, quelli che del resto sono il simbolo delle peculiarità di questa terra.

 

 

 

 

304 – Il Piccolo 17/06/13 Caso Irci, gli istriani contro il Comune: «Si è rotto un patto»

Caso Irci, gli istriani contro il Comune: «Si è rotto un patto»

Polemica per la decisione del Municipio di smettere il ruolo di socio. Spadaro (Pd): «Si manca a un compito culturale»

 

di Gabriella Ziani

Squassati di recente da profondi dissensi interni, improvvisamente gli istriani hanno fatto pace davanti a un avversario comune. Che è proprio il Comune. Il quale decidendo di dissociarsi da 10 dei 17 enti di cui faceva parte, per risparmiare sulle quote annuali, non ha in altri termini risparmiato l’Irci, l’Istituto di cultura istriana, fiumana e dalmata, già al centro di pesanti vespai. E dove peraltro esprime il vicepresidente, la direttrice dei Civici musei e del Revoltella, Maria Masau Dan. «È stata una scelta unilaterale, una rottura della convenzione in atto che prevedeva precisi impegni reciproci: per l’occasione ci siamo ricompattati, e noi dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia – dice Renzo Codarin, che ne è il presidente oltre che essere revisore dei conti proprio all’Irci – con l’Unione degli istriani di Massimilano Lacota (che dell’Irci è consigliere) e l’Unione delle comunità istriane (di cui fa parte la presidente dell’Irci, Chiara Vigini) stiamo per denunciare pubblicamente quanto è accaduto». Il Pdl con il consigliere regionale Bruno Marini e la consigliera comunale Marina Declich lo hanno già fatto: «C’è un pregiudizio, una sottovalutazione di ciò che l’Irci rappresenta in termini di tutela della cultura, della storia, delle tradizioni, dell’identità delle popolazioni dell’esodo giuliano-dalmata». Ma se la discriminante politica è tutto fuorché indifferente nelle manovre che da tempo avvengono attorno all’istituto e al museo di via Torino (che ha appena inaugurato la bella mostra sul pittore Argio Orell), stavolta il fronte si salda e un pesante giudizio su questo divorzio del Comune (meno grave, si dice, quello già firmato dalla Provincia) viene dalle parole di Stelio Spadaro, “guru” della sinistra triestina e molto attento indagatore della storia “non ideologica” di Trieste, dell’Istria e dintorni. Spadaro all’Irci è consigliere, delegato della Provincia, ma boccia Cosolini: «Il punto di riferimento istituzionale che legava il Comune all’Irci – detta Spadaro – ha una ragione profonda, non è questione di contributo: è il segnale del legame tra città e Istria. L’Irci non è una associazione di esuli, ma ha lo scopo di valorizzare una componente essenziale della cultura adriatica. Rompere proprio oggi questo rapporto istituzionale – aggiunge Spadaro – diventa strano, mentre la Croazia sta per entrare nella Ue e i giuliani di lingua italiana possono dare un grande contributo per ragioni storiche, politiche e civili. Il Comune di Trieste aveva l’obbligo di rappresentare un ruolo nella cultura “adriatica” di Trieste e nella presenza di una Italia non nazionalista nella costola Adriatica: mentre l’Adriatico recupera tutte le sue componenti, il disimpegno del Comune sembra cosa superficiale, poco meditata. Cosolini, forse, ci penserà su». Codarin e i suoi vedono invece più concretamente stracciato il patto di gestione. «La convenzione, tuttora attiva – spiega – dava obbligo all’Irci di ristrutturare il museo di via Torino, concesso in comodato gratuito, e l’istituto lo ha fatto da tempo, e al Comune poi l’onore e l’onere di gestirlo, cosa che ancora non è avvenuta: per questo – aggiunge Codarin – il Comune paga 70 mila euro all’anno, perché è l’Irci a farsi ancora carico della gestione e il museo non è mai nato». «La convenzione – dice assai brevemente Maria Masau Dan, direttrice dei musei e appunto vicepresidente dell’Irci in nome del Comune – prevede la gestione del museo da parte nostra. Si farà una nuova convenzione: è in corso il rinnovo e se ne occupa il direttore dell’Area cultura. Quando ci sarà la nuova convenzione, si farà anche il progetto per il museo, ma al di là di questo il mio ruolo non va». «Fra amici e partner non si fa certo così – insiste Codarin irritato -, non si prendono decisioni unilaterali. E la vicepresidente dell’Irci è proprio la direttrice dei Civici musei. Stiamo parlando dei “pezzi grossi” del Comune. Di fronte a un tanto i dissensi fra le nostre varie “anime” si sono di colpo affievoliti. Non vogliamo drammatizzare. Ma puntualizzare sì».

 

 

 

 

 

305 – La Stampa 21/06/13 Giovanni Palatucci se questo è un giusto

Giovanni Palatucci se questo è un giusto

 

di Paolo Mastrolilli

 

Ci eravamo illusi di essere diversi, migliori. Italiani brava gente, tutto sommato. Invece adesso scopriamo che anche Giovanni Palatucci, lo «Schindler italiano», era un collaboratore ligio dei nazisti, che non aveva salvato migliaia di ebrei dalla deportazione. Se la denuncia del Centro Primo Levi di New York verrà confermata, potrebbe diventare il colpo più duro alla narrativa nazionale sostenuta per ripulirci la coscienza dagli orrori della seconda guerra mondiale.

Palatucci era nato nel 1909 in provincia di Avellino, e dal 1937 al 1944 era stato funzionario di polizia a Fiume, dove si occupava del censimento degli ebrei. Alla fine del 1944 il colonnello delle SS Kappler lo aveva fatto arrestare e internare a Dachau, dove era morto poco prima della Liberazione.

Dopo la guerra, a partire dal 1952, la sua storia era stata rilanciata dallo zio, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci, che lo aveva descritto come un difensore degli ebrei. Tra le altre cose, aveva favorito la fuga in Palestina di un nutrito gruppo di perseguitati a bordo della nave Agia Zoni, ne aveva trasferiti molti nel campo di concentramento di Campagna dove poi si erano salvati, aveva distribuito documenti falsi e distrutto gli archivi identificativi di Fiume, per impedire ai nazisti di rintracciare le loro vittime. Tutto questo aveva creato un mito e portato una serie di riconoscimenti: la Medaglia d’oro al merito civile dello Stato italiano, la menzione come «Giusto tra le nazioni» al museo Yad Vashem, e la proclamazione di martire da parte di Giovanni Paolo II. I numeri non tornavano, però. A Palatucci veniva attribuita la salvezza di circa 5.000 ebrei in una regione, il Carnaro, dove al massimo ne vivevano poco più di 600. L’unica testimone che aveva confermato di essere stata aiutata da lui era una donna, Elena Aschkenasy, che il funzionario aveva ricevuto nel

1940.

Il Centro Primo Levi allora ha avviato delle ricerche, che secondo la direttrice Natalia Indrim hanno portato a questa conclusione: «Si è trattato di creazione postuma di anime». In sostanza lo zio vescovo di Palatucci aveva avviato l’operazione di riscoperta, per far avere la pensione alla sua famiglia. Poco alla volta però la storia era lievitata, perché faceva comodo un po’ a tutti: alla coscienza degli italiani, ai cattolici, agli stessi ebrei che potevano riconoscere dei giusti anche tra i gentili. Così era nato il mito, che aveva convinto tutti.

Un gruppo di storici ora ha potuto vedere circa 700 documenti originali di Fiume, che non erano stati distrutti, ma erano rimasti nascosti negli archivi jugoslavi. Ne è emerso che Palatucci non era il capo della polizia locale, ma un vice commissario incaricato proprio di compilare le liste, e aveva continuato a fare il suo lavoro anche dopo l’armistizio del 1943, giurando fedeltà alla Repubblica di Salò. La nave Agia Zoni non era partita su sua iniziativa, mentre a Campagna erano stati trasferiti solo una quarantina di ebrei, e due terzi di loro erano finiti ad Auschwitz. Il censimento, poi, dimostra che a Fiume c’erano in tutto 398 ebrei, e 245 furono deportati. Nell’intero Carnaro erano al massimo circa 600, e quindi i numeri sono sicuramente esagerati. Quanto alla fine di Palatucci, Kappler lo fece arrestare perché aveva cercato di passare agli inglesi informazioni sulla città, non perché sospettava che avesse aiutato gli ebrei a fuggire.

Non è la prima volta che questi dubbi emergono, ma stavolta sono finiti sul New York Times , perché il Centro Primo Levi li ha comunicati con una lettera allo United States Holocaust Memorial Museum di Washington, che aveva inserito una sezione dedicata a Palatucci nella sua mostra «Some Were Neighbors: Collaboration and Complicity in the Holocaust». La sezione ora è stata tolta, e anche lo Yad Vashem sta rivedendo i documenti, per decidere se togliere l’italiano dalle persone riconosciute come giuste. Lo stesso Vaticano è informato e il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, ha detto che uno storico è stato incaricato di riesaminare la questione. Natalia Indrimi dice che condurre queste ricerche non è stato facile, perché «si tratta comunque di un giovane che fece una fine tragica». La direttrice esecutiva del Centro Primo Levi riconosce che «Palatucci probabilmente si trovava a disagio nella sua mansione, tanto è vero che aveva chiesto otto volte di essere trasferito». Questo però non significa che sia stato un eroe dell’assistenza agli ebrei. Il passaggio dei documenti agli inglesi «probabilmente rientra negli effetti del disfacimentodella Repubblica sociale, ma la valutazione dei motivi compete agli psicologi, più che agli storici.

Del resto Kappler non aveva motivo di mentire, e se l’arresto di Palatucci fosse stato davvero legato all’aiuto fornito agli ebrei, lo avrebbe detto». La Indrimi non vuole usare queste informazioni per distruggere il mito degli italiani brava gente, che avevano fermato la mano ai nazisti: «Ognuno», dice, «è libero di credere quello che vuole. La vita intellettuale, però, è una delle colonne del nostro Stato laico, ed è importante che i fatti siano conosciuti».

 

 

 

 

 

 

 

306 – Il Piccolo 16/06/13 Pola riapre la disfida della capitale

Pola riapre la disfida della capitale

 La città dell’Arena tenta di soffiare lo status a Pisino. Zagabria: «Decida il parlamentino istriano»

POLA Riparte la battaglia infinita che vale lo status di “capitale dell’Istria”. La Dieta democratica istriana ritorna infatti alla carica per far trasferire il centro amministrativo della Regione da Pisino, dove si trova attualmente, a Pola. E lo fa a quattro anni dal fallimento del tentativo condotto dal sindaco della città dell’Arena nonché deputato Boris Miletic. La “disfida” dura ormai da un ventennio. Ancora nel 1993 l’allora presidente della Repubblica Franjo Tudjman aveva deciso di investire del titolo di centro amministrativo dell’Istria proprio Pisino. E l’aveva fatto in segno di “riconoscimento” alla città per cosi dire più croata dell’Istria. Pola e la Dieta democratica avevano mal digerito il rospo e, già a caldo, avevano annunciato l’intenzione di combattere contro Zagabria allo scopo di riportare in tempi brevi la sede della “capitale” nel sud dell’Istria. Poi, però, avevano ben presto messo nel cassetto i velleitari e “sanguigni” propositi. E, con tutta probabilità, l’avevano fatto allo scopo di evitare scontri intestini con conseguenze dannose. Adesso, però, Pola e il partito alzano nuovamente la voce e chiedono di essere ascoltati. Zagabria, peraltro, questa volta sembra essere decisamente più possibilista e propensa a dare la sua benedizione alla decisione in materia che sarà assunta dall’Assemblea regionale. Il massimo organo rappresentativo dell’Istria. Ad assicurare tale disponibilità è stato infatti il governo nazionale in risposta alla precisa richiesta di trasferimento del centro amministrativo inoltrata in sede parlamentare dal deputato dietino Valter Boljuncic. A questo punto la prossima mossa spetta all’Assemblea regionale ma, viste le forze in campo, l’esito della votazione appare scontato a favore di Pola. Secondo Boljuncic e gli altri sostenitori dell’iniziativa Pola ha tutte le ragioni per diventare capoluogo dell’Istria in quanto ne è già centro economico, culturale e scientifico. Ovviamente non ci sta il sindaco di Pisino Renato Krulcic, assolutamente contrario allo “scippo”, ed è anche lui un esponente della Dieta. «Pisino è storicamente la capitale dell’Istria perché – afferma il sindaco Krulcic – proprio qui vengono rilasciate le licenze, a partire da quelle edilizie, perché sempre qui hanno sede la direzione regionale per le strade, l’Agenzia per lo sviluppo rurale dell’Istria, la Revisione di stato e tanti altri uffici regionali di enti statali e ministeri». Dal canto suo il leader dietino Ivan Jakovcic si dice compiaciuto che finalmente Zagabria lasci decidere all’Istria su una questione cosi importante. «Questo è un passo concreto verso l’autonomia regionale» aggiunge Jakovcic, precisando che in ogni caso Pisino rimarrà la sede dell’Assemblea regionale nel rispetto dello sviluppo policentrico della penisola. Favorevole a Pola capitale è il deputato indipendente Damir Kajin. (p.r.)

 

 

 

 

307 – Il Piccolo 17/06/13 Un italiano alla guida del Consiglio regionale quarnerino

Un italiano alla guida del Consiglio regionale quarnerino

FIUME È la prima volta che succede nella ventennale esistenza della Regione del Quarnero e Gorski kotar che ha Fiume per capoluogo. Il connazionale fiumano, Erik Fabijanic, 52 anni, è stato eletto ieri alla guida del consiglio conteale, candidatura avvenuto nella seduta costitutiva del consiglio e approvata in modo unanime dai 45 consiglieri, quanti ne conta il parlamentino regionale. Da più di due decenni nelle file del Partito socialdemocratico (schieramento al potere a Fiume, nella contea e in Croazia), Fabijanic è stato per due mandati consigliere regionale al seggio garantito della Comunità nazionale italiana. Come noto, la nostra minoranza viene considerata autoctona per statuto sia a Fiume che in regione e per tale motivo ha seggi garantiti nei rispettivi parlamentini. Fabijanic è inoltre membro del Consiglio regionale per la comunità nazionale italiana e in età scolastica ha frequentato l’elementare italiana Gelsi e l’ex Liceo. «Sono molto soddisfatto – queste le parole a caldo di Fabijanic dopo essere stato eletto – per me è un onore presiedere il consiglio regionale e poi voglio sottolineare che c’è stata unanimità al momento del voto. Credo che il mio operato da consigliere conteale abbia inciso in modo decisivo, dandomi ora l’opportunità di essere alla testa del parlamentino di una tra le regioni più importanti delal Croazia. Voglio ribadire che la nostra Comunità nazionale sarà tra le priorità del mio lavoro. La Regione, voglio ricordarlo, è l’ente fondatore dell’ex Liceo e in quest’ambito credo che nel corso del mandato si concluderà il restauro del maestoso edificio costruito 125 anni fa». Nei giorni scorsi c’è stata pure la sessione costitutiva del consiglio cittadino di Fiume. Tra i consiglieri anche il giovane connazionale Livio Defranza del partito Lista per Fiume. Anche il parlamentino municipale riserva agli italiani un seggio garantito, derivante dall’autoctonia contemplata dallo statuto civico. (a.m.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

308 – La Voce di Romagna 11/06/13 Storie e Personaggi – Le vicende del Battaglione Zara

STORIE E PERSONAGGI

 

TRA I “CAPPELLI PIUMATI” SE NE CONTANO DIVERSI CHE VENIVANO DALL’EMILIA-ROMAGNA

 

Le vicende del Battaglione Zara

 

Il generale Elio Ricciardi ha ricostruito la storia avvalendosi anche della preziosa testimonianza del reduce Rino Mioni

 

BOLOGNA dove si era stabilito da esule, in marzo è venuto a mancare l’ultimo ufficiale del Reparto, il professor Bruno Raccamarich. Era nato nell’isola di Pago

 

Prima di parlare delle vi­cende del Battaglione Zara, una breve introdu­zione sulle vicende ju­goslave. Il 27 marzo 1941 viene deposto il principe reggente Paolo, fratello di A­lessandro I – che era stato assassinato a Marsiglia nel 1934 – e zio del re Pie­tro II ancora minorenne. Per pochi giorni Pietro II eserciterà il potere, poi sarà costretto a lasciare il paese inva­so dai tedeschi per rifugiarsi a Londra. Nel 1945, dopo la proclamazione del­la repubblica da parte di Tito, il gio­vane sovrano si recò in esilio negli Stati Uniti. Per effetto dell’invasione della Jugoslavia da parte della Germa­nia assieme agli eserciti alleati, com­preso quello italiano, la situazione precipita rapidamente; i confini ven­gono chiusi e Zara, fino al 1947 italia­na, rimane isolata. Le truppe presenti in città ammontavano a circa 7 mila uomini. Dal 1° aprile era iniziato lo sgombero della popolazione civile, circa 12 mila persone verranno ospi­tate in gran parte nelle città marchi­giane sull’altra sponda dell’Adriatico. Nella notte del 5 aprile, giunto l’ordi­ne di mobilitazione, il Battaglione Za­ra si era attendato nei campi, pronto all’azione. Le truppe jugoslave, stima­te nell’ordine di 18 mila uomini, ave­vamo iniziato a muovere verso la co­sta, ma la loro azione viene bloccata prima dalle incursioni aeree italiane, poi, dal 10 aprile, dalla fulminea a­vanzata tedesca. All’alba del 12 aprile le “Truppe Zara” aprono il fuoco e su­perano agevolmente il confine, senza incontrare resistenza. Lo scopo prin­cipale, oltre all’autodifesa, era quello di occupare la maggiore quantità pos­sibile di territorio in vista di una rapi­da resa dell’esercito jugoslavo, che si verificherà infatti il 18 aprile. In con­seguenza, verrà creato il Governato­rato della Dalmazia, con poco più di 320 mila abitanti. La situazione rima­ne stabile per circa due anni, in quel periodo il Battaglione Zara parteci­perà, assieme ad altri reparti bersa­glieri che si avvicenderanno nei Bal­cani e alle forze germaniche, a conti­nue azioni. Arriva l’8 settembre. Il mattino seguente all’armistizio, le for­ze italiane ricevono l’ordine di ripie­gare entro i confini della Dalmazia annessa.

 

Il Battaglione Zara che si tro­vava fuori città in ricognizione, rien­trerà immediatamente. Vengono con­vocati ufficiali e sottufficiali per deci­dere le alternative: collaborare coi te­deschi o finire in campo di concen­tramento. Di resistere non se ne parla per l’eccessiva sproporzione di forze. Si giungerà tuttavia, dopo qualche giorno, ad un compromesso: gli ita­liani sarebbero rimasti come presidio della città, a difenderla soprattutto contro la reazione e le mire annessio­nistiche degli “ustascia” croati, aizzati anche dalla promessa di Hitler di ce­dere Zara alla Croazia. Inoltre, anche i tedeschi avevano i loro problemi, trovandosi soli a presidiare una vasta regione caratterizzata dalla forte pre­senza partigiana. Con una lenta ma i­nesorabile emorragia, i reparti citta­dini perdono via via uomini, alcuni avviati in Germania, altri scappati tra i partigiani o in fuga verso le proprie case in Venezia Giulia. Nell’autunno del 1943 iniziano i micidiali bombar­damenti alleati, in tutto se ne conte­ranno 54, un numero enorme se si pensa che la città non rivestiva alcuna importanza strategica. Il 4 gennaio 1944, quel che rimaneva del battaglio­ne, circa 200 uomini, viene trasferito a Trieste per andare ad inquadrarsi nell’esercito della Rsi; quei pochi che hanno voluto restare a tutti i costi vengono accerchiati, disarmati ed i­noltrati verso varie località limitrofe per essere impiegati come forza-lavo­ro dai tedeschi. Il 31 ottobre 1944 i partigiani occupano Zara: “iniziarono allora – scrive Ricciardi – gli eccidi con diversi metodi: i più comuni la fuci­lazione e l’annegamento in mare.

 

Molti furono imprigionati e una buo­na parte di essi continuò a morire ne­gli anni successivi”. La testimonianza di Rino Mioni è particolarmente in­teressante sia per la varietà delle si­tuazioni sia perché è un esempio del differente comportamento tenuto dai tedeschi delle forze armate regolari e delle S.S., e dagli jugoslavi, in partico­lare gli sloveni. L’8 settembre 1943, racconta Mioni, il Battaglione Zara si trovava a presidiare la località di Zaravechia, in croato Biograd: per sua sfortuna proprio quel giorno rientra­va dalla licenza: “Il 9 settembre rien­trai al Battaglione, già c’erano i parti­giani di Tito a parlamentare con il no­stro Comando perché volevano le ar­mi nostre. La richiesta dei partigiani non è stata accettata malgrado le mi­nacce. E’ arrivata poi una colonna di automezzi da Zara e siamo tornati con le nostre armi in città, festeggiati dagli zaratini”. Il generale Ricciardi descrive le vicissitudini di Mioni prigioniero dei tedeschi. Sulla costa a nord di Sebenico si troverà sotto la sorveglianza di un anziano militare che nel corso della Prima guerra mondiale era stato prigioniero degli italiani che lo avevano trattato bene. Fino a quando era rimasto sotto il controllo della Wehermacht, le con­dizioni erano rimaste accettabili; di­versa la situazione quando Mioni e al­tri bersaglieri verranno presi in con­segna dalle SS. Le percosse e i mal­trattamenti erano all’ordine del gior­no. Poi inizia la ritirata dei tedeschi dalla Dalmazia con al seguito i prigio­nieri italiani. Così continua il raccon­to di Mioni: “Ormai la ritirata era con­tinua, anche 40 km di strada al gior­no. La strada era piena di soldati te­deschi e loro alleati. Giunti alla peri­feria di Zagabria venimmo sistemati in baracche su una collina. La città e­ra tutta illuminata in quanto conside­rata “città aperta”. Ma la sera succes­siva i bagliori delle cannonate si avvi­cinavano a Zagabria. Con altri italiani decidemmo di fuggire e, elusa la sor­veglianza delle sentinelle, ci ritrovam­mo in strada con una moltitudine di italiani. Ad un bivio la gendarmeria tedesca ci indicò, senza considerarci, la strada per l’Italia”. Mioni assieme ad altri bersaglieri riesce ad arrivare a Postumia, località allora italiana e sotto occupazione jugoslava. “Entran­do a Postumia si vedevano prigionieri impiegati per lo sgombero di macerie. Ci condussero ad un comando “par­tigiano” dove uno per uno, con modi bruschi, fummo sottoposti ad inter­rogatorio circa il reparto di apparte­nenza. il precedente impiego, la col­laborazione e la prigionia con i Tede­schi. Era una beffa, erano sloveni, gio­vani di 17-18 anni, che volevano sfo­garsi dell’odio che avevano verso di noi”. Lo scorso 18 marzo, è venuto a mancare a Bologna, dove si era stabi­lito nel dopoguerra, il professor Bru­no Raccamarich, reduce ed ultimo uf­ficiale del Battaglione Zara. Era nato nell’isola dalmata di Pago nel 1920.

 

Aldo Viroli

 

Chi sono i protagonisti

Dalla prigionia tedesca a quella jugoslava

 

C’erano anche diversi emiliano – romagno­li tra gli appartenenti al Battaglione Bersa­glieri Zara, che dopo l’8 settembre 1943 avranno la sventura di cadere prigionieri dei tedeschi, alcuni in seguito anche delle forze partigiane del maresciallo Tito, tanto da fi­nire internati nel tristemente noto campo di concentramento di Bo-rovnica, a metà strada tra Postumia e Lubiana. Le vicende del Batta­glione Zara sono state raccontate in “Studi storico – militari”, pubbli­cazione dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, dal generale Elio Ricciardi che si è av­valso anche del diario del reduce Rino Mioni, che vive a Padova e che da sempre cura i rapporti con gli ex commilitoni anche per quan­to riguarda l’organizzazione dei ra­duni. Mioni ha vissuto l’esperienza di Borovnica; pesava 80 chili, al momento della liberazione appena 43. Il generale Ricciardi, dal 1984 al 1987 comandante del Distretto mi­litare di Forlì, nonché comandante militare per le province di Forlì e Ravenna, ha avuto modo di conse­gnare numerose Croci di guerra al merito a ex combattenti. Una buo­na parte di loro aveva combattuto in Dalmazia e Venezia Giulia; la grande maggioranza dei decorati, conversando con Ricciardi, aveva dichiarato di aver evitato di passare con i partigiani jugoslavi dopo l’8 settembre per non tradire quanto fatto allora.

 

 

 

 

 

309 – La Voce del Popolo 17/06/13  Cultura – Il Castello di Momiano ha tanta voglia di rinascere

Il Castello di Momiano ha tanta voglia di rinascere

Si è conclusa con una visita alle rovine del Castello di Momiano la tre giorni del Convegno internazionale tenutosi alla locale Comunità degli Italiani e organizzato dall’Università Popolare Aperta di Buie.

“Sono stati tre giorni bellissimi, pieni di informazioni nuove, che ci serviranno per continuare un percorso di recupero del patrimonio storico di Momiano”, ha commentato così la direttrice dell’UPA, Lorella Limoncin Toth, spiegando che dopo due giorni di conferenze (venerdì e sabato), ieri mattina c’è stata l’occasione di visitare fisicamente i resti del castello, grazie all’accurato lavoro di messa in sicurezza dei sentieri e dei ponti da parte dell’azienda municipalizzata “Civitas Bullearum”.

Studiosi italiani, croati e sloveni si sono alternati al tavolo dei lavori, analizzando i temi più disparati.

Un viaggio nel XII secolo

Nel 1102 il villaggio di Momiliano, precedentemente castelliere preistorico Castrum Mamillanum, passò alla chiesa di Aquileia. Pare che il primo castello sia stato costruito attorno al 1230. Nel 1313, dopo vari passaggi di proprietà, Momiano viene infeudata ai Raunicher, nobili tedeschi della Carniola. Nei primi anni del ‘500 il territorio era stato affidato alla città di Pirano. Il castello fu reso più abitabile, poi i conti Rota costruirono nel paese (nel XVIII secolo) una casa gentilizia, fregiata da una ruota e una testa di moro. Nel 1548 il Castello fu acquistato da Simone Rota, di famiglia bergamasca e residente con la famiglia a Pira- no, per 5555 ducati d’oro. Dopo il definitivo possesso di Momiano, i Veneziani, nel 1591 istituirono una scuola pubblica comunale. La Signoria di Momiano fu feudo di privata giurisdizione. Nel XVI secolo, e precisamente nel 1589, iniziarono gli insediamenti di gente slava nel contado. Dopo la pace di Madrid (1617), il castello decadde d’importanza e lentamente andò in rovina. I Conti Rota lasciarono il castello nel 1835, e da quel momento fu abbandonato al suo destino. Oggi il sogno più grande dei momianesi e di vedere l’inizio dei lavori di ristrutturazione.

Il Castello… tridimensionale

Per la Limoncin Toth il Convegno è stato un punto di partenza e non un arrivo: “Sicuramente l’evento appena concluso ha lanciato le basi per continuare con seri progetti di recupero del Castello di Momiano”.

Molto interessante la presentazione della ricostruzione tridimensionale del maniero, grazie ad Antonio Salvador dell’Istituto Italiano dei Castelli. Ha proposto una conferenza dal titolo “Iconografia storica, rilievo architettonico, documentazione fotografica, genius loci… per un tentativo di ricostruzione 3D del castello”.

Dell’Istria e del Momianese in epoca veneziana hanno parlato Bruno Crevato Selvaggi della Società Dalmata di Storia Patria di Roma, Slaven Bertoša dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola e Darko Darovec dell’Istituto di studi umanistici “Nova revija” di Lubiana.

Stimoli nuovi con esperti internazionali

Oltre a Momiano si è parlato anche della Comunità montenegrina di Peroi alla fine del Settecento, con Mila Manzatto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si sono invece occupati di arte e cultura del territorio momianese Chiara Vigini Conti dell’IRCI di Trieste, David di Paoli Paulovich della Società di studi storici e geografici di Pirano e Rino Cigui del CRS di Rovigno. Vladimir Bedenko della Facoltà di architettura di Zagabria, in particolare, ha trattato lo “Sviluppo storico e architettonico del Castello di Momiano”. È intervenuto anche Ivan Milotić della Facoltà di giurisprudenza dello stesso ateneo per tracciare elementi di Diritto romano. Del Momianese in età moderna, tra rapporti giurisdizionali e assetti istituzionali, hanno relazionato Erasmo Castellani della Ca’ Foscari di Venezia, che si è collegato anche ai rapporti con Pirano.

Della stessa università sono giunti anche Eliana Biasiolo, Lia de Luca, Giovanni Florio e Laura Amato. Quest’ultima ha analizzato dettagliatamente gli intrighi, i complotti e i tradimenti tra i fratelli Rota. Dati che – stando agli storici locali – saranno d’aiuto per capire altre dinamiche finora sconosciute. Denis Visintin del Museo civico di Pisino ha presentato il paesaggio agrario e l’organizzazione produttiva nelle campagne momianesi, sempre nell’Età moderna.

Kristjan Knez, per la Società di studi storici e geografici di Pirano e il Centro Italiano “Carlo Combi” di Capodistria, ha approfondito l’opera di Stefano Rota, definito un “erudito, archivista e studioso di patrie memorie”. A testimonianza del personaggio, erano presenti anche Franco Rota e Nicola Gregoretti, discendenti dei conti Rota.

Presentati documenti inediti

Di carattere più statistico è stato invece l’intervento di Walter Baldas della Scuola media superiore di Parenzo, che ha tracciato il quadro demografico di Momiano e del suo circondario tra passato e presente. Tra gli altri era presente anche Tajana Ujčić, dell’Agenzia culturale istriana di Pola.

Secondo lo storico e docente presso la SMSI “Leonardo Da Vinci” di Buie Gaetano Benčić, che ha parlato della Chiesa parrocchiale di San Martino, il Convegno ha dato l’effetto voluto, perché sono arrivati degli stimoli nuovi, fonti nuove che serviranno per interpretare il corso della Storia, dell’antropologia locale”. “Abbiamo una notevole mole di documenti inediti – ha detto il prof. Benčić – che sono arrivati per la maggior parte dall’Archivio di Stato di Venezia, con un gruppo di ricerca guidato dal prof. Povolo”.

L’Università Popolare Aperta di Buie, organizzatore dell’evento, si è avvalsa della collaborazione della locale Comunità degli Italiani e del patrocinio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha goduto del sostegno della Regione Istriana, della Regione Veneto e del Comune di Buie. Hanno collaborato pure l’Associazione dei produttori del moscato di Momiano “Vino Momilianum” e l’Ente per il turismo buiese. Le operazioni logistiche sono state curate dell’azienda municipalizzata “Civitas Bullearum” di Buie.

Daniele Kovačić

 

 

 

 

 

310 – Corriere della Sera 18/02/13  Eisenbichler, dalmata-canadese vince dil Flaiano di italianistica.

Studio sulle poetesse del XVI secolo

Eisenbichler, dalmata-canadese vince dil Flaiano di italianistica.


E’ Konrad Eisenbichler dell’Università di Toronto, dalmata-canadese e originario di Lussinpiccolo, il vincitore del Premio internazionale Flasiano nella sezione italianistica. Il riconoscimento gli sarà consegnato il 14 luglio a Pescara. Il suo libro premiato, che va a coronare anni di studi e ricerche sulla letteratura di genere nel Rinascimento italiano, e ” The Sword and the Pen”, “La spada e la penna”, che racconta l’Italia del XVI secolo, percorsa da fervente vita culturale, quando le corti primeggiavano poiché ospitavano i nomi più acclamati delle lettere, della musica e delle arti; La poesia del ‘500, scrive Eisenbichler, non fu solo frutto di mani maschili, ma anche di potesse come Aurelia Petrucci, Laudomia Forteguerri e Virginia Martini Salvi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

311 – La Voce del Popolo 19/06/13 Edit: iniziata l’era digitale

Edit: iniziata l’era digitale

 

 Silvio Forza

 

Da oggi la presenza in internet del quotidiano “La Voce del Popolo”, ma anche quella dell’Edit e del suo settore di editoria libraria, cambia notevolmente. Chi, dal proprio computer, tablet o telefonino digiterà, come finora, l’indirizzo www.edit.hr, non troverà più il vecchio sito impostato nel lontano 2000 ma si troverà di fronte il “sito corporate” dell’Edit, ovvero quella vetrina in cui vengono presentate storia, attività, testate, gerenza e notizie attuali relative all’operato istituzionale della casa editrice degli italiani di Croazia e Slovenia. Un “chi siamo”, “dove siamo”, “cosa facciamo” ecc. che rappresenta il primo passo di quella transizione digitale dell’Edit e delle sue testate i cui costi sono stati parzialmente coperti dal Governo italiano tramite l’Unione Italiana, l’associazione unitaria della CNI che detiene i diritti di proprietà dell’Edit. Presenti pure molti link che conducono a siti di riferimento per l’area istroquarnerina e al microcosmo della nostra comunità nazionale.

Presenti pure molti link che conducono a siti di riferimento all’area istroquarnerina e al microcosmo della nostra comunità nazionale.


Ideato da personale interno all’Edit (in primo luogo Izabel Dejhalla, Igor Kramarsich, con il contributo di Luka Kik e Nenad Rameša) che ha lavorato sotto la supervisione dei consulenti Luigi Carletti e Gianluca Bovoli della società “Consuledis” di Milano, il sito è stato programmato dall’agenzia web “Multilink” di Fiume. Si tratta, per sua natura, di un cantiere sempre aperto, che prossimamente proporrà agli utenti anche un webstore, ovvero un negozio per acquisti e con pagamento direttamente online.

Dal sito corporate, tramite 3 ingressi, si può accedere al nuovo sito (provvisorio) della “Voce del Popolo”, residente all’indirizzo www.edit.hr/lavoce che, seppure con una grafica rinnovata e contenuto vivo (dunque, non più, testo caricato come immagine PDF come avveniva finora), continuerà a proporre una selezione degli articoli pubblicati nell’edizione cartacea del nostro quotidiano, con aggiornamenti una volta al giorno. Le novità riguardano la dimensione social poiché tutti gli articoli, oltre che condivisi via posta elettronica, potranno essere postati nelle reti sociali (Facebook e Twitter), con tanto di tasto “mi piace” da cliccare o meno.


Sempre dal “corporate” ci si può connettere con il nuovo sito (anche questo provvisorio) di EDITLIBRI, ovvero del settore di editoria libraria, che sta all’indirizzo www.editlibri.hr  La produzione dell’Edit vi viene presentata nella sua suddivisione tra libri per la scuola da una parte, collane di narrativa, poesia, saggistica e pubblicistica dall’altra. Ogni singolo titolo è accompagnato da una scheda descrittiva ed è acquistabile online (con link verso negozi esterni) oppure ordinabile direttamente all’Edit su modulo elettronico.


Da rilevare che in questi giorni è stato attivato pure il sito www.bellacroazia.it (realizzato da Florinda Klevisser e Dean Černeka) che vuole essere la vetrina digitale dell’inserto «Vacanze in Istria e nel Quarnero» che l’Edit pubblica ogni estate dal 2005 ad oggi, dedicato ai turisti italiani.


Sia per “La Voce del Popolo”, sia per “Editlibri”, abbiamo segnalato il carattere di provvisorietà; infatti l’EDIT e tutte le redazioni attualmente sono impegnate (formazione, organizzazione, progettazione, aggiornamento tecnologico, logistico e professionale) nella realizzazione di una nuovo portale informativo il cui paniere di contenuti/servizi fa riferimento a tutte le testate e a tutte le attività dell’Edit, dal quotidiano ai periodici, dai libri agli inserti speciali. Un sito che sarà quindi la sintesi digitale di tutto ciò che l’Edit produce, ha prodotto e produrrà attraverso le sue diverse attività, un sito con il quale si tenterà di dare attuazione al disegno di “multicanalità” di diffusione dell’informazione che è proprio di tutte le società editoriali più evolute.

Un sito che stiamo progettando in conformità con i migliori modelli di siti informativi a livello internazionale e che sarà online il prossimo autunno.

 

Silvio Forza

 

 

 

 

312 – La Voce del Popolo 20/06/13 Raccolta di poesie bilingue dedicate alla sua Dignano

Raccolta di poesie bilingue dedicate alla sua Dignano

 

DIGNANO In occasione della pubblicazione della raccolta di poesie, “Mome Vodnjanu Sigurna stanica” (“Alla mia Dignano Rifugio sicuro”) abbiamo incontrato la scrittrice Rita Brgić Stokić.

“Ho dedicato questa raccolta a Dignano asserisce l’autrice – perché questa località mi ha accolta come una concittadina, tanto da rappresentare per me un rifugio sicuro che mi attende sempre con le porte aperte”.

Il suo amore verso la città si legge soprattutto nei versi in cui vi narra della sua gente, i “vecchi Bumbari”, e in cui riprende quelli che ne sono i simboli: gli olivi, le casite, i volti e il campanile.

Numerose sono le tematiche della raccolta. Oltre alle bellezze naturali e architettoniche del Dignanese – motivo centrale dell’opera – l’autrice riprende i temi della primavera e dell’amore. La raccolta, come rivelato dall’autrice, trae ispirazione pure da ricordi d’infanzia, da situazioni della vita quotidiana e da persone che per lei hanno avuto un ruolo importante. Nel suo insieme, è pervasa da un vitale ottimismo. Completano il libro una serie di fotografie di case e palazzi dignanesi, di cui viene ripresa l’eleganza delle facciate.

Per quanto riguarda i piani futuri, la Stokić ha numerosi progetti. “Oltre alla pubblicazione di una raccolta di racconti umoristici in ciacavo, già pronta per la stampa, ho in piano la stesura di un libro di fiabe per bambini confida la scrittrice -, nonché l’ultimazione di un’opera di prosa. La scrittura e la lettura sono il mio mondo. Fin da piccola ho mostrato grande interesse nei confronti della letteratura. Sono innamorata delle tradizioni, del dialetto ciacavo, della cultura in genere. La raccolta ‘Alla mia Dignano’ rappresenta finora il mio lavoro più impegnativo e l’averla potuta dedicare alla mia città e lasciarla in eredità alle generazioni future è per me la gioia più grande”, così la poetessa.

La scrittrice ha voluto, infine, ricordare l’importanza della traduzione dell’opera in lingua italiana. “Il libro è dedicato a tutti gli abitanti di Dignano, che è una cittadina bilingue, ed è quindi giusto che il libro sia completo di una traduzione italiana delle liriche – ribadisce la Stokić -, di modo che tutti possano leggerle e apprezzarle”.

L’autrice ha, infine, espresso il suo ringraziamento per la Città e il sindaco, Klaudio Vitasović, per il sostegno nella realizzazione del progetto e, in particolar modo, a Livio Morosin per averla introdotta nel mondo della scrittura.

 

Vanja Stoiljković

 

 

 

 

313 – Il Piccolo 15/06/13 Trieste – Da caffè a salotto culturale Così rinasce il San Marco

Da caffè a salotto culturale Così rinasce il San Marco

Accordo tra Generali e una cordata che fa capo al titolare dell’omonima libreria di via Donizetti.

Si punta a Magris presidente onorario del Centro studi interno


NUOVA GESTIONE A FINE MESE

di Gabriella Ziani

Da caffé a Centro studi con libreria, e salotto di cultura dove anche si mangia. Un luogo di musica in cui è possibile usare Internet, avere fax e stampanti, un restauro nel rispetto dell’arte e dell’antico, tuttavia con l’esordio di tavolini all’esterno. E poi teatro, letture, pranzi, cene solo su prenotazione ma con una “chef”. In una via pedonalizzata da cui anche l’ingresso principale della Sinagoga potrebbe prendere più luce. È un progetto senza fine, ma un progetto che pare di resurrezione dalle ceneri quello che Assicurazioni Generali, proprietaria dei locali, ha condiviso scegliendo i nuovi gestori del Caffé San Marco. La ricerca messa in campo per evitare la chiusura, che sarebbe stata un clamoroso ulteriore lutto per la città, si è conclusa. Il caffé più storico di Trieste sta per festeggiare il centenario, ma fino all’altro giorno era assai a rischio a causa di tempi economicamente magri, diminuito “appeal”, soprattutto dopo l’improvvisa scomparsa lo scorso dicembre del suo gestore, Franco Filippi, e la fatica denunciata da moglie e figlia per raccogliere una eredità operativa di così complessa portata. Si è presa la nuova gestione una società denominata Servizi editoriali. Che fa capo a Alexandros Delithanassis, editore col marchio Asterios e titolare della libreria “San Marco” (nome che è più un destino che un caso…) in via Donizetti. Proprio a lato del caffè. A collaborare al progetto che Generali Real Estate ha scelto appunto perché «in grado di restituire al San Marco la vocazione di contenitore culturale», con l’editore e libraio ci sono Ivaldo Vernelli, già direttore organizzativo del Teatro Stabile La Contrada e adesso nello stesso ruolo al Teatro Stabile di Verona (socio di Servizi editoriali), Guido Tripaldi, che si occupa di innovazione tecnologica (anche nella, e per la, Swg), e Gian Paolo Venier, designer, socio dello studio di progettazione dell’architetto Luciano Semerani e direttore artistico di un giovane gruppo lanciato nella progettazione di mobili da design. Tutti entreranno fra poco a far parte di una nuova società, la San Marco srl, dedicata allo sviluppo del monumentale caffè, che avrà Claudio Magris (così si spera) come presidente onorario del futuro Centro studi. Proprio Magris, che al San Marco ha la sua seconda casa ideale, aveva lanciato forti appelli alle Generali affinché guardassero al valore culturale del luogo, e non solo a quello economico. Ed ecco qua. Martedì l’accordo sarà firmato, a fine giugno entrerà in campo la nuova gestione. A fine anno via ai lavori di restauro, filologici al massimo vista la sacralità artistica del luogo: installazione della cucina e rifacimento dei bagni, per un ancora vago preventivo di 200 mila euro di spese. Generali metterà una parte della somma. «La nostra libreria traslocherà all’interno del caffè – annuncia Alexandros Delithanassis -, e daremo spazio alla casa editrice. Ma faremo anche “case editrici a km zero” ospitando gli editori locali, e poi mostre, degustazioni e corsi sulla gastronomia locale. Chiederemo al Comune di pedonalizzare in anticipo la via Donizetti per sistemare tavoli all’aperto, prevediamo una cucina veloce a pranzo, creeremo un luogo dove discutere di questioni etiche, politiche in senso lato, proporremo una “newsletter” di attività, un sito web nuovo, metteremo lì computer e Internet senza password: caffè, salotto di casa e ufficio tutto al San Marco. Con il Centro studi avvieremo un vero progetto culturale – prosegue Alexandros -, e in più avremo musica, letture, inviteremo scrittori, artisti. Qui si pone però anche una sorta di ricatto morale: i triestini credono al San Marco? Dovranno venire da noi».

 

 

 

 

314 – Il Piccolo 17/06/13 Crisi in Slovenia, ora crolla il turismo

Crisi in Slovenia, ora crolla il turismo

Cali in doppia cifra nel primo quadrimestre dell’anno. E gli italiani snobbano le rinomate terme. Lavoratori in allarme

 Arriva il carcere per l’ex vicepremier Cacic

L’Ente del settore inglobato in un’agenzia pubblica Non ha i fondi necessari per organizzare la promozione all’estero accuse al governo Sta varando nuovi balzelli come quello per i torpedoni stranieri che transitano sul territorio nazionale

di Mauro Manzin

TRIESTE Un nuovo settore in crisi in Slovenia. È quello del turismo, soprattutto quello termale e del wellness finora vero e proprio fiore all’occhiello dell’offerta slovena agli ospiti stranieri, italiani in prima fila che, lo ricordiamo, capeggiano la classifica dei visitatori della vicina repubblica. Il grido d’allarme è stato lanciato dagli operatori del settore dopo la formalizzazione dei dati relativi ai primi quattro mesi dell’anno. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno il calo delle presenze è pari al 3% mentre i pernottamenti calano del 5%. E tutto questo all’inizio della vera e propria alta stagione turistica. E i lavoratori sono preoccupati e chiedono un urgente incontro con il governo. Dicevamo delle terme, che sono il vero e proprio cavallo da parata del turismo sloveno, ebbene il calo riscontrato nel primo quadrimestre del 2013 è pari al 6,6% mentre i pernottamenti fanno segnare un preoccupante -9,2%. E gli italiani? Segnali preoccupanti anche dal Belpaese: nei primi 4 mesi del 2013 sono arrivati in Slovenia il 16% in meno rispetto allo stesso periodo del 2012 e alle terme il calo è stato addirittura del 18%.Il direttore dell’Associazione degli operatori termali della Slovenia, Iztok Altbauer spara diritto al bersaglio: «I problemi vanno ascritti – dichiara al quotidiano lubianese Dnevnik – ai tagli riservati alla promozione turistica ma anche nella nascita dell’Agenzia Spirit, sotto la cui egida è confluita dal 1 gennaio scorso anche l’Ente turistico della Slovenia (Sto)». «L’Agenzia – prosegue – è ora emarginata è fondamentale renderla nuovamente indipendente e poi i lavoratori del turismo chiedono immediatamente un incontro politico al massimo livello per discutere dei problemi di cui il settore soffre». «Premier ci restituisca la Sto», ha scritto al primo ministro Alenka Bratušek già nel mese di aprile Tone Matjaši›, direttore dell’agenzia Panoramic Travel Group precisando altresì che «la Sto è stata distrutta, ora abbiamo una certa agenzia Spirit che da sola non sa che cosa deve fare. La Spirit è per il turismo sloveno evanescente come uno spirito. Ora la Sto è una sua costola che non ha alcuna energia nè tantomeno denaro e che si può affidare solo ai fondi europei». Matjaši› non demorde. «Ora si sta avverando quello che io avevo pronosticato mesi fa – afferma – da quando la Sto è stata affiliata all’Agenzia pubblica per l’imprenditoria e gli investimenti esteri (Japti) nonché all’Agenzia pubblica per lo sviluppo tecnologico (Tia) abbiamo perso il collegamento con l’economia turistica». «Ma il governo – conclude – non sta facendo niente anzi, sta svolgendo una politica che determinerà un rincaro delle tariffe come l’aumento dell’aliquota dell’Iva , delle tasse turistiche e sta addirittura pensando a un balzello per i vettori di autobus stranieri che transitano sul nostro territorio nazionale. Così facendo il turismo sloveno precipiterà nella stessa voragine in cui sta morendo l’intera economia del Paese». Con Matjaši› concorda anche Marjan Batagelj, presidente del consiglio di amministrazione delle Postojnske jame (Grotte di Postumia). «Il turismo occupa un capitolo a sè nel quadro economico del Paese – spiega – e non dimentichiamo che costituisce il 12% del Pil del Paese, per funzionare va trattato autonomamente e deve essere in grado di gestire la sua politica promozionale. La Sto deve quanto prima ridiventare indipendente». Ma il governo sembra proprio non avere fretta. Il ministro dell’Economia, Stanko Stepišnik che ha la delega sul turismo parla chiaro: «L’Agenzia Spirit ha iniziato il suo lavoro solo lo scorso 1 gennaio e quindi ritengo che bisogna attendere fino alla fine dell’anno per stilare un bilancio del suo operato e decidere se mantenere la sua struttura oppure scioglierla». Ma non esclude che in futuro la Sto ritorni indipendente.

 

 

 

 

315 – La Stampa 19/06/13  Bonino spinge la Serbia verso la UE

Bonino spinge la Serbia verso la Ue

di Antonella Rampino

L’Italia appoggia l’intenzione della Serbia di aderire all’Unione europea, e si impegna a porre al Consiglio Europeo di fine giugno il punto della data di avvio del negoziato. Lo ha assicurato il ministro degli Esteri Emma Sonino, in visita a Belgrado, al premier Dacic, sottolineando che l’Italia è il primo investitore in Serbia – «con 2 miliardi di euro, nonostante la crisi» – e il primo partner commerciale. Ed è in questa chiave che vanno letti anche i rapporti bilaterali – oltre agli storici legami tra i due paesi – perché l’apertura dei negoziati di adesione alla Ue consentiranno l’accesso ai fondi comunitari, avviano dunque nuove opportunità e investimenti soprattutto nel settore energetico e nelle infrastrutture. La visita del ministro proseguirà oggi in Kosovo, e Bonino ha dato atto a Belgrado dei «progressi compiuti negli ultimi mesi, e in particolare proprio sui risultati del dialogo con Pristina facilitato dalla Ue» secondo l’accordo di Bruxelles. Molto cammino deve ancora essere fatto «ma la sfida della normalizzazione delle relazioni con il Kosovo è per la Serbia la sfida di porsi come importante fattore di stabilità regionale». Un cammino che è già stato compiuto dalla Croazia, che entra nella Ue il prossimo 30 giugno.

 

 

Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia – ANVGD di Gorizia

Vi invitiamo conoscere maggiori dettagli della storia, cultura, tradizioni e immagini delle nostre terre, visitando i siti :

http://www.mlhistria.it
http://www.adriaticounisce.it/

http://www.arupinum.it

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