La Gazeta Istriana Luglio – Agosto 2011 – Num. 18

Posted on August 28, 2011


La Gazeta Istriana a cura di Stefano Bombardieri
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Luglio – Agosto 2011 – Num. 18

45 – La Stampa 11/07/11 Ruggero Boscovich : Attualità dello Shuttle e di un telescopio ad acqua
46 – La Voce del Popolo 24/06/11 Speciale – Pisino, il cuore antico dell’Istria (Mario Schiavato)
47 – Osservatorio Balcani 11/07/11 L’Europa di frontiera: da Tomizza a Jergovic (Nicole Corritore)
48 – RID (Rivista Italiana Difesa) Giugno 2011 Le nuove Forze Armate della Slovenia, Slovenska Vojska (Giuliano Da Frè)
49 – Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria 1968 Vol. n° 16 – Giuseppe Radole: Gli organi nelle chiese istriane

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45 – La Stampa 11/07/11 Ruggero Boscovich : Attualità dello Shuttle e di un telescopio ad acqua

Il cielo
11/07/2011 –
Attualità dello Shuttle e di un telescopio ad acqua

Piero Bianucci
C’è un’attualità immediata e perentoria. Per questa rubrica che si occupa di astronomia e quindi anche di imprese spaziali al servizio dell’astronomia, questa settimana l’attualità immediata è rappresentata dal fatto che sopra le nostre teste sta compiendo le sue ultime orbite intorno alla Terra l’ultimo shuttle, l’Atlantis: partito puntualmente l’otto luglio, sarà di ritorno il 20, giorno nel quale si chiuderà l’era delle navette spaziali di prima generazione.

Bilancio finale: in trent’anni gli shuttle hanno portato nello spazio 335 astronauti (14 hanno perso la vita) e 179 carichi tra satelliti e componenti della Stazione Spaziale Internazionale per un totale di 1700 tonnellate, il tutto con una spesa complessiva di 196 miliardi di dollari.

C’è poi una attualità inattuale, ed è quella della memoria. Su questo fronte un tema da non lasciar cadere è il terzo centenario della nascita dell’astronomo Ruder Josip Boskovic (qui accanto nel ritratto che ne fece Robert Edge Pine, 1760).

Benché il suo nome sia ricordato da parecchie vie e piazze in Italia e in Dalmazia, nonché da un cratere sulla Luna, un asteroide (il numero 14.361), 11 banconote croate con valori diversi e alcuni francobolli croati (1943) e jugoslavi (emissioni del 1960 e 1987), Bosckovic non è molto noto, o almeno non è nota la sua importanza scientifica, che fu poliedrica e del tutto sorprendente.

Dire che Boskovic, nato il 18 maggio 1711 a Dubrovnik da un mercante bosniaco e da Paola Bettera, donna di origine bergamasca, fu astronomo e direttore dell’Osservatorio di Brera a Milano è certamente vero ma è riduttivo.

Boskovic fu matematico, fisico, architetto, urbanista, filosofo, teologo, diplomatico, esploratore, poeta e gesuita. Fu, inoltre, un “fratello massone” di alto rango, quando però la massoneria non aveva ancora nulla a che fare con P2, P3, P4… e chissà a quale numero arriveremo.

Molte sono le imprese memorabili di Boskovic. Misurò un arco di 2 gradi di meridiano fra Roma e Rimini. Si occupò della stabilità della cupola di San Pietro a Roma e nel 1752 il pontefice Benedetto XIV adottò la sua soluzione di rinforzarla con barre di ferro concentriche. Analogamente, diede la sua consulenza circa la stabilità della guglia del duomo di Milano, la bonifica delle Paludi Pontine, la costruzione di strade, canali e porti.

In missioni di vario tipo soggiornò a Vienna, Parigi, Londra, Varsavia, San Pietroburgo e Costantinopoli. Per il maltempo fallì a Venezia l’osservazione di un transito di Venere davanti al Sole nel giugno 1761. Scrisse in latino poemi di ispirazione lucreziana. Fu amico di Voltaire e ammirato da Leopardi, che gli dedicherà una pagina nella sua giovanile “Storia dell’astronomia”. Come diplomatico sostenne a Vienna le ragioni della Repubblica di Lucca contro il governo della Toscana in una controversia sorta intorno allo scolo delle acque del lago di Bientina, poi prosciugato nel 1859 ad opera dell’architetto Alessandro Manetti.

Come fisico si batté per la teoria atomistica e a favore della teoria corpuscolare della luce sostenuta da Newton. Come geodeta, oltre a misurare il meridiano dello Stato Pontificio, suggerì a padre Beccaria la misura del Gradus Taurinensis da Adrate a Mondovì.

A Pavia tenne la cattedra universitaria di matematica. A Parigi diresse l’Ottica Navale della Marina Francese. Infine tornò in Italia per spegnersi nel 1787 a Milano, dove è sepolto nella chiesa di Santa Maria Podone. Quanto all’Osservatorio di Brera, contribuì a fondarlo, ne arricchì la strumentazione nel 1765 e lo diresse dal 1770 al 1773.

Ma più di questa attualità inattuale motivata dal terzo centenario della nascita, di Boskovic mi sta a cuore una inattualità attualissima: la sua idea, proposta nel 1785, di costruire un cannocchiale pieno di acqua per un esperimento che fu poi effettivamente realizzato – si legge di solito nei testi di storia dell’astronomia – soltanto un secolo dopo, nel 1871 a Greenwich, dall’astronomo reale Sir George Airy.

In realtà, come documenta un saggio di Andrea Gualandi e Franco Bònoli, l’esperimento fu compiuto già nel 1859 da Lorenzo Respighi, direttore dell’Osservatorio astronomico di Bologna, che ne dà conto nel 1861 con la sua “Nota intorno l’influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi luminosi”.

Qui però non si tratta di rivendicare priorità. La cosa interessante è un’altra ed ha a che vedere con quella singolare eterogenesi dei fini che talvolta affiora nella storia della scienza.

In sintesi, con il suo cannocchiale zenitale ripieno di acqua, Boskovic intendeva condurre un esperimento sull’aberrazione della luce (scoperta da Bradley e interpretata giustamente come una conseguenza del moto orbitale della Terra) per dimostrare la natura corpuscolare dei raggi luminosi.

La teoria corpuscolare della luce elaborata da Newton fu in auge nel Settecento ma venne abbandonata per quella ondulatoria sostenuta (con esperimenti convincenti) da Thomas Young e Augustin Fresnel (1815). Ad essa si ritornerà tuttavia nel 1905 grazie al saggio di Albert Einstein sull’effetto fotoelettrico (premiato nel 1921 con il Nobel per la fisica allo scienziato tedesco).

Dove sta l’inattualissima attualità del cannocchiale ad acqua di Boskovic? Sta nella lezione di questa pagina di storia della scienza: Boskovic escogitò un esperimento per dimostrare il carattere corpuscolare della luce smentito da successive teorie, e recuperato con il geniale lavoro di Einstein che introdusse il concetto di fotone, la “particella di luce”. Lorenzo Respighi realizzò quell’esperimento per dimostrare l’opposto: la natura ondulatoria dei fenomeni luminosi.

Eppure entrambe le teorie erano in un certo senso corrette: oggi la meccanica quantistica tratta la luce sia sotto forma di onda sia sotto forma di particella. Insomma: tortuosa e precaria è la strada della ricerca scientifica.

Per esigenze di spazio e di semplificazione qui ho sorvolato su molti aspetti cruciali della vicenda del cannocchiale ad acqua. Chi volesse farsene un’idea precisa non ha che da leggere il saggio di Andrea Gualandi e Fabrizio Bònoli disponibile all’indirizzo: http://www.brera.unimi.it/sisfa/atti/2003/221-230GualandiBari.pdf

46 – La Voce del Popolo 24/06/11 Speciale – Pisino, il cuore antico dell’Istria
di Mario Schiavato
DA SECOLI CONSIDERATA IL CENTRO DELLA PENISOLA,
ALLA CITTÀ SONO LEGATI TANTI E IMPORTANTI AVVENIMENTI
Pisino, il cuore antico dell’Istria
Il panorama di Pisino si apre a un tratto alla vista, in basso, quasi a volo d’uccello, con le proposte imperanti di due edifici monumentali: il Castello, o meglio la Rocca del Cinquecento, e lo slanciato campanile veneto a cuspide, esagonale, insegna settecentesca che affianca il Duomo di origine romanica. La parte vecchia di Pisino riflette l’umile borgo medievale sorto, appunto, accanto al Castello, sull’orlo della rupe che delimita il pauroso precipizio della Foiba.
La bizzarra posizione dei massi sporgenti delle ripide pareti rocciose, le sinuosità piene di cespugli, il contrasto con la dolce movenza dei colli che la circondano con Lindaro da una parte e Pisinvecchio dall’altra, ancora l’orizzonte che si spalanca verso le gobbe del Monte Maggiore, danno il quadro di un veramente fantastico paesaggio. Da tempi remoti il borgo viene praticamente considerato il cuore dell’Istria, il luogo dove si svolsero tanti e importanti avvenimenti ed è certo per questo che i tedeschi lo chiamarono Mittelburg.
Una lunga storia
Il suo nome figura già nel 929 in un atto con cui Ugo di Provenza, allora re d’Italia, donava il Castrum Pisinum al vescovo di Parenzo. Una seconda volta viene ricordato, sempre con la stessa denominazione, nel 983 in un documento dell’imperatore Ottone II. Il nome comunque “spesso compare nelle cronache delle donazioni che nel Medioevo venivano fatte alle istituzioni ecclesiastiche, cospicuamente favorite da un regime che speculava su un loro appoggio e da un nobilume che cercava, con le frequenti e copiose elargizioni, d’acquetare la propria sporca coscienza”, come riferisce il triestino Giuseppe Caprin nella sua nota opera “Alpi Giulie” stampata nell’anno 1893.
Nel 1175, i vescovi di Parenzo concessero l’investitura ai Conti di Gorizia i quali, a poco a poco, estesero il loro dominio sui territori limitrofi finché nel 1234 nacque, con Mainhard von Schwartzenberg, la Contea di Pisino e d’Istria. Nel 1374 questa venne ceduta agli Absburgo che a loro volta la regalarono dapprima ai Duinati poi ai Walsee. Quindi passò in feudo a diverse famiglie di nobili tedeschi e italiani come gli Eppenstein, i Weimar-Orlamunde, gli Andechs, i Wittelbach finché nel 1766 venne acquistata da Antonio Laderchi, marchese Montecuccoli da Modena. Gli stemmi di diverse di queste casate sono ancora incastonati sulla murata principale del castello.
L’erta rampa del Castello
Il Castello venne edificato probabilmente nell’XI secolo, mentre il suo aspetto odierno risale sicuramente ai secoli XIII e XIV, quando venne riedificato, nonché ai rifacimenti seguenti (XVI sec.) come ci informa il De Franceschi nella sua Storia documentata della Contea. Si tratta di un ampio fabbricato quadrilatero al cui centro si trova un ampio cortile con la cisterna. Si entrava da un ponte levatoio su di un largo e profondo fossato, si proseguiva lungo un cupo androne sbarrato alle sue estremità da una porta.
Intorno all’edificio s’era sviluppato l’abitato con in primo piano le case signorili dei nobili e dei funzionari ministeriali che cercavano, accanto alla rocca, una più sicura anche se incomoda sistemazione, nonché la chiesa della Madonna della Misericordia e la parrocchiale di San Nicola. Emergevano dietro la cinta, a breve distanza, in elevata scoscesa posizione, le fosche muraglie cieche del castello guarnite da un finimento di piombatoi sistemato fra l’alto mastio quadrilatero a sinistra e il tozzo torrione circolare a destra.
Un’erta rampa a ripiani saliva al cunicolo in volta sotto il torrione, passaggio obbligato questo, chiuso da due porte ad arco, che giungeva poi, girando il lato settentrionale del castello e attraverso una terza porta, nel cortile murato esterno corrispondente all’attuale piazzetta della Foiba. L’accennata rampa a gradini, doveva rendere assai malagevole il transito dei cavalli dei padroni e degli altri animali, soprattutto il trasporto nelle cantine e nei granai dei prodotti agricoli, della legna, del fieno, con piccoli carri trainati spesso dai buoi come era in uso allora, rampa che forse per questo venne livellata nei primi anni dell’Ottocento.
La foiba, uno spettacolo della natura
La caratteristica più importante di Pisino è comunque la Foiba che come afferma il già citato Caprin “vi si spalanca di sotto un centoventotto metri di profondità ed è considerato uno dei più interessanti spettacoli naturali”. E più avanti aggiunge: “Il professor Taramelli dice che come fenomeno d’erosione, per opera di un torrentello normalmente umile (il Foiba, in croato Pazinščica – n.d.a.) è sublime!
Guardando poi quella poca acqua che giornalmente scorre, non si crederebbe che abbia potuto compiere un tale vertiginoso scavamento. Essa sparisce come quella del Timavo superiore per una grande arcata, che s’aperse mordendo gli ostacoli. Il conte Ensdoff tentò più volte di penetrare nella grotta con una barchetta, ma al punto ove si restringe, dovette fermarsi e sospendere l’esplorazione. Il noto viaggiatore Carlo Yriarte racconta invece di alcune perle d’ambra, gettate nella Foiba, che furono ripescate nel Canale di Leme.
Giulio Verne ancora, valendosi di questa panzana – è sempre il Caprin ad affermarlo –, fa evadere l’eroe di un suo romanzo, Mattia Sandorf e il compagno Stefano Battory, dalle prigioni del castello di Pisino: difatti giungono sani e salvi davanti l’ingresso della cupa caverna e, travolti dai vortici, seguendo la corrente del torrente, riemergono dove l’acqua sbuca a cielo aperto”, per poi continuare la fuga fino a Dubrovnik.
La «verifica» della storia di Verne
E aggiunge ancora l’autore triestino: “Un certo Adriano Martel ha voluto recentemente accertarsi quanto ci fosse di vero in tutta la descrizione del grande autore dei viaggi nella Luna e nel centro della Terra. S’internò in quel labirinto con un suo piccolo boat ma dopo breve percorso non poté proseguire. L’acqua formava un lago chiuso da tutte le parti che deve perdersi per fratture invisibili”.
Come si vede già alla metà dell’Ottocento si cercava di risolvere l’arcano. In effetti, Pisino si trova sopra un grande lago sotterraneo. Lo confermano gli speleologi che di recente attraverso la gola sono arrivati sin qui da dove è davvero impossibile proseguire ma, da prove fatte, seguendo il flusso sotterraneo, l’acqua scorre fino a sfociare non sul Canale di Leme, ma sulla costa orientale istriana anche se non si sa bene dove. C’è ancora da dire che spesso, quando per le piogge torrenziali il torrente si gonfia improvvisamente, le acque chiudono la gola della voragine, creando in essa un lago temporaneo.
La figlia del conte e il pastorello
Ed ora una celebre leggenda legata naturalmente al Castello. Si narra, anzi è storicamente accertato, che nel lontano 1234 qui vivesse il conte Meinhard Schwarzenberg. Costui aveva una bellissima figlia e ogni giorno arrivavano fin da terre lontane dei nobili per chiederla in sposa. Ma lei ostinatamente rifiutava tutti perché s’era innamorata di un pastorello il quale mentre badava alle sue bestie suonava il flauto e cantava con una voce melodiosa.
Un giorno lei si recò nel bosco per incontrarlo e per dirgli:
– Mio padre vuole maritarmi con un nobile, ma io rifiuto tutti perché sono innamorata di te.
Al sentire queste parole il pastorello si commosse, ma anche si spaventò a tal punto che, dapprima gettò il flauto nell’immondizia e poi, radunate le sue pecore, corse a casa a nascondersi.
Dopo qualche tempo arrivò un grande e possente esercito che assalì il castello, lo conquistò, uccise il conte Meinhard, fece prigioniera la contessina e la rinchiuse nella torre più buia. Il torvo comandante della soldataglia decise che l’avrebbe data in sposa a colui che fosse stato così intelligente e così valoroso da liberarla. Molti nobili guerrieri accorsero e tentarono la difficile impresa. Tutti senza risultato perché la torre era costantemente sorvegliata da un terribile orco che era al seguito del comandante e che, nientemeno, aveva sette teste e assaliva e uccideva quanti cercavano di avvicinarsi.
Un giorno il pastorello che non aveva mai dimenticato la sua bella, decise di salvarla. Con un virgulto di nocciolo si costruì un nuovo flauto perché sua madre gli aveva assicurato che solo con uno strumento simile avrebbe potuto incantare l’orco e quindi si recò al castello. Messosi davanti l’entrata suonò e suonò per tre giorni e per tre notti. Si stava ormai avvicinando la terza mezzanotte quando s’intese lo strepito di un potente cigolio.
Il portone del castello si spalancò e l’orco apparve ruggendo. La terra tremò, ci furono tuoni e fulmini, si scatenò una tremenda tempesta. Ma il pastorello non s’impressionò, non si mosse dal suo posto anzi attaccò un delizioso motivetto, allegro al punto che l’omaccio cominciò a ridere e a ballare! Cosa fece allora il suonatore? Passin passetto s’avvicinò al portone, con un balzo entrò nel cortile, si precipitò a chiudere i massicci battenti. Quando l’orco s’accorse di essere stato raggirato, s’arrabbiò, cominciò a ringhiare, a battere, a spingere le porte ferrate tuttavia senza riuscire ad aprirle. Il tutto durò finché quel mattino i galli cantarono per la terza volta, finché subito dopo sorse l’aurora, il sole indorò il cielo, l’orco perse tutti i suoi poteri magici e il possente esercito tutte le sue armi.
Il pastorello poté allora slanciarsi su per le scale della torre, aprire la prigione, liberare la sua amata contessina. Tra il giubilo del popolo si sposarono pochi giorni dopo e fu in tal modo che da quel giorno egli diventò a sua volta conte e poté governare saggiamente e per lunghi anni il vasto territorio di Pisino. Forse questa è solo una leggenda, ma il castello ha ancor oggi – soprattutto per i voli della miriade dei suoi colombacci – un aspetto che davvero incute riguardo, così affacciato sull’orrido della Foiba.
Le campane del Museo etnografico
Il castello ospita oggi un ricchissimo Museo Etnografico e Storico il quale, tra l’altro, ha una collezione preziosa di campane recuperate durante la guerra nelle chiesette abbandonate dell’Istria, custodite in Friuli fino al 1961 e poi portate qui. Si può così prendere visione degli stili di fonderia nei secoli, con forme diverse, dalle più vecchie piccole e rudimentali, poi alle più alte ed eleganti, infine le ultime, larghe e basse, ricche di dettagli decorativi con i quali i maestri fonditori esibivano ai posteri la loro arte.
Queste campane, assieme a tante altre che non ci sono più, hanno dato anima e vita agli alti campanili, ai campaniletti a vela delle cappelle di campagna e alle piccole torri dei palazzetti municipali dei borghi istriani. Hanno avuto origine per la maggior parte dalle fonderie dei maestri veneziani, ma ce ne sono alcune che testimoniano l’opera di fonditori friulani, sloveni, tedeschi e qualcuna anche di fonditori ambulanti o di modesti ma intraprendenti artigiani di paese.

47 – Osservatorio Balcani 11/07/11 L’Europa di frontiera: da Tomizza a Jergovic

L’Europa di frontiera: da Tomizza a Jergovic
Nicole Corritore
11 luglio 2011
Miljenko Jergović, scrittore e giornalista, è stato insignito lo scorso 24 giugno, a Trieste, del Premio Tomizza. Una nostra intervista
Oggi è a Trieste (il 24 giugno scorso, ndr) per ritirare il Premio Tomizza. Cosa significa per lei, tenendo anche conto della ratifica di questi giorni da parte del Consiglio europeo dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea nel 2013?
Innanzitutto ho la speranza che la Croazia con l’ingresso in Europa diventi un Paese più civilizzato, dunque più democratico e sopratutto più tollerante verso l “altro”, di quanto non sia oggi. Ritengo che la Croazia non sia ancora un Paese in cui lo standard di difesa e tutela dei diritti umani sia a livello dei Paesi più civilizzati e democratici quali quelli europei.
Per quanto riguarda la giornata di oggi, sono molto contento di essere a Trieste a ritirare questo premio che ritengo molto importante perché oltre ad essere stato Tomizza un grande scrittore, è stato sopratutto uno scrittore “di frontiera” che aveva capito fino in fondo il destino di chi come lui aveva diverse identità: croata, italiana, slovena, istriana. Quindi un uomo che era in grado di comprendere in maniera sottile e completa tutti gli altri uomini.
Come descriverebbe gli sviluppi degli ultimi anni in Croazia e Bosnia?
Devo dire che negli ultimi 5-6 anni, sia in Croazia sia in Bosnia Erzegovina, si sono avviati dei processi decisamente negativi. La Bosnia Erzegovina si è fermata e non sta andando più da nessuna parte. Certo, c’è la pace, ma questa pace non ha creato migliori condizioni di vita e reali processi di comprensione tra persone appartenenti alle diverse comunità del Paese.
In Croazia, negli ultimi due anni, e cioè da quando è diventata premier Branka Kosor, ha preso piede un governo di ultradestra ed estremamente rigido – molto simile al governo di Franjo Tudjman degli anni novanta – che ha provocato un terribile processo regressivo. Per fare un esempio la giornata della lotta antifascista in Croazia, l’anniversario del giorno in cui nel 1941 il popolo croato si è sollevato contro i fascisti tedeschi, è stato celebrato in maniera raccapricciante. I seguaci di quei fascisti del ’41 si sono ribellati in tutte le maniere alle celebrazioni previste. Questo fatto lo ritengo spaventosamente negativo.
A questo proposito ritiene che l’Europa in cui entrerà la Croazia sia in condizioni migliori?
Purtroppo è un dato vero il fatto che anche in Europa è in corso un processo di irrigidimento, per non dire di “fascistizzazione”. Ma mi viene da dire che il problema dei Balcani è che i Balcani copiano dall’Europa gli aspetti più negativi!
E’ vero che in Europa stanno avvenendo processi simili, come ad esempio in Italia dove il premier Berlusconi usa una politica “della paura” verso gli italiani, dove Milano viene rappresentata come una città abitata da terroristi e ladri, oppure in Olanda dove l’estrema destra siede in Parlamento. In Europa c’è un rafforzamento di queste forze politiche, ma la differenza è che nei Balcani appena questi processi si mostrano diventano immediatamente catastrofici, molto più pericolosi che non in un Paese come l’Olanda o l’Italia.
Lei è nato a Sarajevo ma ha vissuto a lungo in Croazia, e quindi ha uno sguardo ad ampio raggio sull’atmosfera culturale di questi Paesi. Come la valuta, oggi?
La produzione letteraria di tutti i Balcani è strettamente dipendente dalle interazioni con i propri vicini. Come si sa la lingua croata appartiene alla stessa radice di altre lingue dell’area, come il bosniaco e il serbo, e dunque dal punto di vista linguistico fanno parte di un’unica lingua. Le diverse letterature sono molto legate tra loro e quindi nella misura in cui esiste e migliora questa interazione, le singole letterature riescono a sopravvivere e svilupparsi in meglio, essere più attive e propositive. Mentre laddove l’interazione non c’è si vede la totale chiusura di visioni ma anche di sviluppo futuro. Fortunatamente in Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro esistono forme di reciproca collaborazione che poi sono rappresentate da scrittori che producono ottima letteratura.
Ci dà un’anteprima di ciò a cui sta lavorando?
In realtà io scrivo di continuo e posso solo dirvi che la prossima sarà un’opera di finzione, che uscirà a breve.
A vent’anni dall’inizio del conflitto che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia: lei scrisse in passato che la “tradizione multietnica di Sarajevo era nella testa della gente” più che nella struttura della società e della politica. Ritiene che quella tradizione si sia salvata, nonostante tutto?
E’ una domanda difficile per la quale non esiste una unica risposta. Ritengo che nella testa della gente sia rimasta la concorde coscienza che esiste una sola maniera perché la Bosnia Erzegovina possa funzionare ed esistere, cioè in una società multietnica. Esattamente come deve essere per l’Europa.

48 – RID (Rivista Italiana Difesa) Giugno 2011 Le nuove Forze Armate della Slovenia, Slovenska Vojska
Giuliano Da Frè

Slovenska Vojska
Le nuove Forze Armate della Slovenia

Può sembrare un paradosso. Ma il maggior impegno militare “fuori area” delle Forze Amate slovene (FAS, o Slovenska Vojska), nel 2010, è concentrato in Kosovo con quasi 400 effetti¬vi. Vent’anni fa, proprio il rifiuto di mandare i propri soldati di leva a reprimere i disordini scoppiati nel 1989 nell’allora provincia kosovara della Federazione Jugoslava era stata una delle micce per la guerra d’indipendenza slo¬vena.
Il conflitto, scoppiato all’indomani della procla¬mazione della secessione di Lubiana dalla Fe-derazione (25 giugno 1991, in contemporanea con l’analogo annuncio fatto dalla Croazia), e durato appena dieci giorni (1), rappresenta an¬che l’atto di nascita delle Forze Armate nazio¬nali. Create sulla base della Difesa Territoriale della Repubblica Slovena (Teritorialna Obram-ba Republike Slovenije-TORS; parte di quel¬l’apparato militare parallelo voluto da Tito nel 1968 dopo l’attacco sovietico alla Cecoslovac¬chia e ispirato all’esperienza partigiana jugo¬slava della Seconda Guerra Mondiale), hanno sostenuto un battesimo del fuoco di tutto rispet¬to, piegando i tre Corpi d’Armata federali dislo¬cati in Slovenia e ottenendo sul campo l’indi¬pendenza.
All’inizio del XXI secolo l’apparato militare slo¬veno è drasticamente cambiato, dopo l’aboli¬zione della coscrizione nel 2003 e con l’ade¬sione a NATO e Unione Europea nel 2004. Agli ordini del Capo di Stato Maggiore della Difesa (dal maggio 2009 il Maggior Generale Alojz Steiner, 53 anni, già ufficiale della Difesa Territoriale dal 1979 al 1994) ci sono oggi ap¬pena 7.600 effettivi, cui si aggiungono 1.700 riservisti di pronto impiego (con un contratte che li obbliga a servire per 30 giorni l’anno), contro i 55.000 uomini in servizio a metà anni ’90.
Da qui la necessità di puntare su un apparate estremamente snello ed efficiente, fortemente caratterizzato da un’organizzazione interforze con tre componenti (terrestre, navale ed ae¬rea) che fanno capo ad un’unica struttura di comando integrata.
Se lo Stato Maggiore Generale (Generalstat Slovenske Vojske) si trova a Lubiana, assieme all’Ispettorato Generale (o Verification Centei of SAF, responsabile della pianificazione a vari livelli, e della cooperazione internazionale, in tegrato con una sezione delPOCSE), a Vhrnike – l’antica Nauporto romana, 20 km ad oves della capitale – si trova il Comando operative (Poveljstvo sii Slovenske Vojske), da cui dipen dono le pedine “combat” e di supporto dell* Forze Armate slovene. Queste sono inquadrate in quattro comandi a livello di brigata, cui si aggiunge una serie di reparti autonomi dipendenti direttamente da Comando operativo.
Nella capitale Lubiana ha sede la 1a Brigata formata nel 1998, su tre battaglioni di fanteria motorizzata/meccanizzata (il 10s, acquartierato nella capitale, il 20s a Celje, il 74s a Marta’ più il 670s Battaglione logistico di Bistrica. La 72a Brigata di Maribor inquadra invece li forze pesanti e specializzate: motoriazzato di Pivka, il 132e di fanteria da montagna (a Bohinjska Bela), il 4602 Battaglione d’artiglieria di Postojina, il 14a Battaglione del Genio e il 18S per la difesa NBC, di base ri¬spettivamente a Novo Mesto e Kranj. La Brigata d’Aviazione e Difesa Aerea (erede della 1a Forza Aerea/Comando Difesa Aerea), che inquadra i velivoli ad ala fissa e rotante delle Forze Armate slovene, è invece quasi completamente concentrata sulla base aerea di Cerklje ob Krki, vicino Brezice, con altre due aerostazioni distaccate presso lo scalo inter¬nazionale di Lubiana-Brnik (che ospita anche la componente di volo della Polizia slovena, solo su elicotteri) e a Lesce, dove si trova un eliporto destinato a supportare le operazioni di soccorso in montagna, mentre il centro di con¬trollo radar nazionale è a Brnik. La brigata aerea comprende:
– 9S Battaglione di Difesa Aerea (9-BZO), su un centro di comando (POVLOGBAT) e quat¬tro batterie: 1a e 2a dotate di sistemi missilisti¬ci a corto raggio (LPRBTZO), e la 3a Batteria ROLAND, sugli omonimi missili a corto/me¬dio raggio (RBTZO), mentre la 4a comprende i vecchi semoventi antiaerei ZSU-57, attual¬mente in riserva (LSTBTZO);
– 15e Battaglione elicotteri (15-HEB/BTRA, ere¬de della 15a Brigata aerea sciolta l’8 novem¬bre 2004), su una sezione ad ala fissa (LE-TRAO, con aerei da collegamento/trasporto) e tre squadroni ad ala rotante: 1s e 2e con i Bell 412, il 3Q su COUGAR;
-162 Battaglione Controllo Aereo (16-BNZP, a Brnik), con due stazioni radar fisse e due mo¬bili (rispettivamente su apparati AN/TPS-70 e GROUND MASTER 400, acquisiti nel 1993 e nel 2008) e un centro di comando e sorve¬glianza;
– 107a Sezione Aerea (107-LEBA), che inqua¬dra servizi logistici, reparti di sicurezza e uni¬tà amministrative;
– Scuola di Volo (LETS), con tre sezioni per l’ad¬destramento basico (1a e 2a su aerei, la 3a su elicotteri) e tre per quello avanzato, con ca¬pacità di fornire appoggio tattico.
La quarta pedina a livello di brigata delle FAS è il Comando Supporti, con QG a Kranj, da cui dipendono il 157s Battaglione logistico di Vhrnika, l’unità medica campale (di stanza nella capitale), e sei comandi di compagnia territo¬riali.
Direttamente dal Comando operativo dipendo¬no invece cinque reparti autonomi e interforze:
– il 5e Battaglione ricognizione e intelligence, con sede a Vhrnika, equipaggiato con mo¬derni sistemi di guerra elettronica ed ELINT/ SIGINT;
– I’11Q Battaglione comunicazioni (sempre a Vhrnika), su 5 compagnie specialistiche;
– il 175 Battaglione di Polizia Militare di Lubia¬na, su 4 compagnie e due plotoni.
A questi tre reparti si aggiungono poi la 430a Divisione Navale (o Unità di Difesa Costiera, creata nel gennaio 1993, sciolta nel 1995, ma riattivata già nel 1996), e l’Unità Operazioni Speciali (ESD) di Kocevska Reka.
Se su quest’ultimo reparto le informazioni sono scarse (ma si tratta comunque di una forza a livello di compagnia rinforzata, capace di ope¬rare in vari scenari, dall’antiterrorismo alle ope-razioni di infiltrazione e ricognizione avanzata, con personale addestrato in varie tecniche e integrato con gli analoghi reparti NATO), la for¬za navale – con poco più di 100 effettivi ■ in-quadra tutto il naviglio militare sloveno, in as¬senza di una Marina o di una Guardia Costiera ad hoc.
Con base ad Ankaran, presso Koper (Capodistria), unico sbocco al mare della Slovenia, è incentrata su tre distaccamenti: sommozzato¬ri, unità navali, supporto logistico. Il piccolo, ma efficiente, apparato militare slo¬veno è inserito ormai strettamente in ambito internazionale, soprattutto dopo l’adesione alla NATO (29 marzo 2004) e all’Unione Europea, avvenuta un mese dopo (il 12 maggio 2004). D’altra parte, la partecipazione ad esercitazio¬ni internazionali (anche nell’ambito della “Par-tenership for Peace” dell’Alleanza Atlantica) e a missioni oltremare data ormai dal 1997. In¬quadrati nella missione a guida OCSE, i militari sloveni parteciparono infatti alla missione ALBA in Albania del 1997, per poi essere inse¬riti anche nel contingente ONU a Cipro (UNFI-CYP, 1997-2001).
Attualmente la Slovenia prende parte ad una mezza dozzina di missioni internazionali, con oltre 500 effettivi: 395 solamente in Kosovo -la missione più impegnativa – cui se ne aggiun¬ge una trentina in Bosnia, nella missione AL-THEA, ma senza dimenticare i 90 elementi impiegati sul fronte “caldo” dell’Afghanistan con il 14lh Slovenian Contingent; non pochi, su un totale di 7.600. Il che offre diversi spunti di ri¬flessione, soprattutto tenendo conto che le Forze Armate slovene devono comunque adempiere ai più tradizionali compiti di difesa nazionale (aiutate però dalla NATO, che ne copre lo spazio aereo con i suoi caccia), come la sorveglianza dei confini e il concorso nel fron¬teggiare eventuali emergenze. E se negli anni ’90 Lubiana era pur sempre ai margini dell’in¬cendio balcanico, dal 1991 diverse controver¬sie territoriali oppongono ancora la Slovenia alla Croazia, e non sono mancati gli incidenti di fron¬tiera.
Quattro i contenziosi ancora irrisolti con Zaga¬bria, anche se nell’ultimo anno i due Paesi han¬no aperto un tavolo di confronto, che nel giu¬gno 2010 ha portato gli Sloveni a votare “sì” (seppur di misura) ad un referendum con il qua¬le si chiede di fare ricorso ad arbitraggi inter¬nazionali.
Il nodo più importante da sciogliere è quello legato alla spartizione della baia di Pirano; in ballo ci sono anche due gruppi di villaggi nel¬l’area del valico di Plovamija (l’entroterra di Pi¬rano) e – verso il confine con l’Ungheria – nella zona di Medimurje, mentre lungo la catena montuosa frontaliera di Zumberak (per i Croa¬ti) e di Gorjanci (versione slovena) ad essere contesto è il picco di Sveta Gera (2), dove si trovano installazioni militari ex jugoslave ed un grande ripetitore della TV slovena. Quanto costa questo impegno militare alla Slo¬venia? Relativamente poco, almeno sino ad oggi: il budget militare per il 2010 ha sfiorato i 508 milioni di euro, pari all’1,30 per cento del PIL. Tuttavia l’economia slovena, vivace (è la più ricca tra le nazioni dell’Europa Centrale, e con il PIL pro-capite più alto), ma fragile, è sta¬ta duramente colpita dalla recessione interna¬zionale. Una situazione che potrebbe influire su alcuni dei programmi più ambiziosi di Lu¬biana, come la volontà di dotarsi dal 2015 di propri caccia multiruolo a reazione, o di raffor¬zare la componente proiettabile delle forze di terra, anche con aerei da trasporto tattico e nuovi blindati.

La componente di terra
Come accennato è la componente terrestre il nocciolo principale delle Forze Armate slove¬ne, anche dopo la drastica cura dimagrante dell’ultimo decennio. La riorganizzazione ha comportato anche la possibilità di concentrarsi sull’ammodernamento di mezzi, equipaggia¬menti e sistemi d’arma, che negli anni ’90 – con un apparato ancora pletorico, con decine di migliaia di coscritti, riservisti e paramilitari – rap¬presentava un incubo manutentivo, con mate¬riale dismesso dall’Armata Jugoslava dopo la creazione della Difesa Territoriale nel 1968, e moderni sistemi acquisiti (anche da Israele e Singapore) all’epoca della crisi della Federa¬zione, nel 1990-1991, ma poi sottoposti ad embargo sino al 1996.
La prima ristrutturazione fu avviata nel 1993 con l’obiettivo di eliminare (o passare ai depo¬siti della riserva) gli equipaggiamenti più obso¬leti. Nell’ultimo decennio, quindi, con la ridu¬zione degli effettivi e la loro professionalizza-zione (e l’adeguamento agli standard NATO), la Slovenia ha investito molto nell’ammoder¬namento.
Oggi i reparti di fanteria dispongono, quale prin¬cipale arma individuale standard, di un moder-no fucile d’assalto bullpup, l’FN-2000 della bel¬ga Herstal, acquisito in un primo lotto di 6.500 esemplari con un contratto firmato nel giugno 2006. Il fucile è nella versione-base F-2000 TACTICAL, equipaggiato con lanciagranate da 40 mm tipo LG1. Le consegne sono state com-pletate a fine 2007.
Entro il 2012 la Slovenia potrebbe decidere l’ac¬quisizione di una seconda franche (nella ver¬sione FS-2000 STANDARD), arrivando ad un totale di 14.000 pezzi, per equipaggiare anche
seppur affidabili – Zastava M-70, versione ju¬goslava del Kalashnikov, oltre ad alcune centi¬naia di moderni Heckler & Koch G-36 (acqui¬stati 10 anni fa per i reparti inviati in Kosovo, con lanciagranate da 40 mm GMG), e ai SAR-80 acquistati da Singapore alla vigilia della guerra di indipendenza. La pistola standard è invece l’italiana Beretta M-92FS, acquisita sin dal 1991, anche per la Polizia; i tiratori scelti possono contare sui fran¬co-belgi (con mirini ottici tedeschi Schmidt & Bender e notturni della norvegese Simrad) FN-PGM da 7,62 mm ULTIMA RATIO COMMAN¬DO, oltre all’8,6 mm MINI HECATE II e allo HECATE da 12,7 mm. Le Forze Speciali di¬spongono poi anche di pistole Sig Sauer P-226 e pistole mitragliatrici UZI ed Heckler & Koch MP-5. Le armi di squadra sono state interessate da un analogo ammodernamento, con la comple¬ta sostituzione del materiale ex jugoslavo. Per quanto riguarda le mitragliatrici, sono in linea la FN MINIMI PARA da 5,56 mm e la più datata FN MAG da 7,62 mm, mentre per il supporto in postazione fissa o su veicolo sono impiegate dal 2005 le mitragliatrici da 12,7 mm M-2HB, nella versione prodotta su licenza dalla Her¬stal. Per completare il quadro, non va poi di¬menticata l’acquisizione di apparati hi-tech, come sistemi individuali dotati di rilevatore GPS, o laptop ultraleggeri tipo Itronix GOBOOK MR-1, assegnati agli osservatori d’artiglieria, alle forze speciali, ai comandanti di reparto. Moderno anche l’armamento di squadra con¬trocarro, particolarmente curato dagli Sloveni dopo le lezioni (più inflitte che apprese) della guerra del 1991. Oggi il settore (che compren¬deva lanciamissili con¬trocarro jugoslavi e rus¬si) è stato completa¬mente aggiornato, con lanciarazzi portatili da 90 mm RGW sviluppa¬ti da un consorzio isra-elo-singaporese assie¬me alla tedesca Dyna-mit Nobel Defence, co¬nosciuti anche come MATADOR e acquista¬ti nel 2008. Sempre fir¬mati da Israele (dalla sola Rafael ADS, an¬che se vengono realiz¬zati su licenza in Ger¬mania dal consorzio Eurospike) sono i siste¬mi missilistici SPIKE MR/LR, in consegna dal 2009 in un primo lotto di 75 esemplari per i nuovi blindati Patria.
La Slovenia nell’ultimo decennio ha infatti an¬che avviato l’ammodernamento del suo parco mezzi, per il momento affiancato al materiale realizzato localmente, o ereditato dall’Armata Popolare.
Ad alimentare il 45a Reggimento carri/72a Bri¬gata per ora bastano i 54 carri da combatti¬mento M-84D realizzati negli anni ’80, tra l’al¬tro anche nelle fabbriche slovene, come la Iskra Fotona di Lubiana (puntatori laser e sistemi elettronici), mentre le corazze venivano prodot¬te a Ravne. I carri sono stati ammodernati e portati allo standard A4 SNIPER ma la Slove¬nia punta a sostituirli, con un occhio a quanto sta facendo la Croazia, con la versione M-95 DEGMAN (vedi RID 10/10). Nel frattempo re¬stano in riserva anche 30 vecchi carri T-55, ag¬giornati allo standard M-55S entro il 1999, con corazze reattive e nuova elettronica fornite dall’israeliana Elbit ed un motore diesel tede¬sco da 600 HP (3).
Più complesso l’intervento relativo alla linea dei VCC e dei blindati trasporto truppe. Per quan¬to riguarda i veicoli corazzati da combattimen¬to, l’Esercito Sloveno mantiene in linea 52 M-80, un valido mezzo in produzione per l’Arma¬ta Jugoslava tra il 1982 e il 1991, capace di trasportare 10 uomini (7 fanti e 3 di equipag¬gio) a 65 km/h, e con buone capacità anfibie. Tuttavia, con una struttura incentrata sempre più su forze medio-leggere, i generali sloveni puntano sulla componente ruotata con l’obiet¬tivo di mandare in pensione i VCC, sottoposti solamente ad alcuni limitati interventi di upgra-de. Dal 1998 sono stati così ordinati 85 blindati 6×6 VALUK, versione realizzata su licenza dei PANDUR II dell’austriaca Steyr, e denominati LKOV (Lahko Kolesno Oklepno Vozilo: ossia veicoli blindati leggeri), mezzi moderni e velo¬ci, da 13,5 tonnellate e 100 km/h di velocità massima. Sono stati acquisiti (dal 1999 al 2007) in quattro versioni: portatruppe (6 fucilieri più i tre uomini di equipaggio, mitragliatrici da 12,7 e 7,62 mm, e lanciagranate da 40 mm), esplo¬ranti (armati con una mitragliera M-242 BUSH-MASTER da 30 mm, su affusto elevabile OWS-25 di Rafael), porta mortai (con un pezzo Sol¬farti da 120 mm CARDOM ) e ambulanza. Nel 2006 Lubiana ha poi firmato un primo contrat¬to con la finlandese Patria per acquistare 135 veicoli blindati AMV 8×8, comprendenti un grup¬po di 24 mezzi armati con un mortaio da 120 mm tipo NEMO (versione canna singola del¬l’AMOS). I blindati sono stati ribattezzati SKOV (Srednje Kolesno Oklepno Vozilo, ossia veico¬lo blindato medio) XC-400 SVARUM, e sono in grado di trasportare 11 uomini; il contratto, che prevede la fornitura dei mezzi tra 2009 e 2013, ha tuttavia subito alcuni intoppi: prima a causa di uno scandalo che ha coinvolto i governi slo¬veno e finnico (sulla stampa si è addirittura par¬lato di un nuovo “caso Lockheed” legato alle politiche di esportazione molto “aggressiva” della Patria (4)) ; poi per gli effetti della crisi eco¬nomica, ed è così a rischio il lotto – non quantificato – di blindati da armare con una mitraglie¬ra da 30 mm su affusto elevabile della Elbit a controllo remoto (gli altri 8×8 dovrebbero es¬sere equipaggiati con una mitragliatrice da 12,7 mm in torretta PROTECTOR della Kongsberg). Dall’ottobre 2010, nell’ambito del rafforzamen¬to del 14*1 Slovenian Contingent schierato in Afghanistan (inquadrato nel Regional Command West-ISAF di Herat) sono stati inviati in teatro anche 4 SVARUM. Sono inoltre state acquistate dalla Turchia 10 blindo leggere LAV COBRA (consegnate dalla Otokar nel 2009) in versione NBC-Recon, con la possibilità di acquisirne altre in futuro, men¬tre per i contingenti impegnati fuori area erano già stati ceduti dagli Stati Uniti nel 1999 42 HUMVEE (30 nella versione M-1114 e 12 mo¬dello M-1151, con blindatura incrementata). Sono in riserva, o sono stati ceduti alla Polizia, una quarantina di rustici blindati leggeri 4×4 tipo BOV-M o -VP realizzati localmente per la Dife¬sa Territoriale negli anni ’70-’80. Modernizzate infine anche le componenti logi¬stiche, con la dismissione del vecchio materiale ex russo o jugoslavo, e l’entrata in linea di moderno materiale da ponte (come il TVLB Eurobridge MLC-70 tedesco, da 40 metri, in servizio dal 2004), autocarri MAN da 10 t ed Iveco – questi ultimi consegnati dal 2005 – esca¬vatori E.195EL della New Holland (1997), e poi equipaggiamenti per il Genio, la guerra NBC e di mine.
Per quanto riguarda l’artiglieria, Lubiana ha preferito un mix tra usato sicuro e materiale nuovo, dopo aver mandato in soffitta l’etero¬geneo armamentario ereditato nel 1991. Le bat¬terie campali sono così riequipaggiate nel 1996¬/1997 con 18 cannoni da 155/45 mm TN-90, ossia Soltam M-71 ex israeliani di seconda mano, e con 56 più moderni mortai M-120 da 120 mm, anch’essi della Soltam. La difesa antiaerea è invece assicurata da si¬stemi missilistici portatili tipo IGLA-1 (SA-16 GIMLET) russi e 6 lanciatori mobili ROLAND-2 acquisiti di seconda mano dalla Germania nel 2001 (con 120 missili), mentre in deposito ci sono ancora i cannoni antiaerei ZSU-57.

I reparti aerei e navali
Come abbiamo visto, i maggiori sforzi della Slovenia per modernizzare il proprio strumen¬to militare sono stati indirizzati verso la com¬ponente terrestre. Tuttavia, molto è stato fatto anche per le forze aeree e navali e soprattutto sulla prima si concentrano le maggiori ambizioni di Lubiana, che entro il 2015 vorrebbe dare inizio all’acquisizione di un gruppo di caccia multiruolo. Non va però dimenticato che que¬sto progetto richiederà anche un notevole sfor¬zo logistico (con l’adeguamento della base aerea di Cerklje ob Krki, utilizzata a suo tempo dai jet federali) e addestrativo, visto che anche quando dopo il 1969 la Difesa Territoriale Slo¬vena fu dotata di una componente aerea, que¬sta era incentrata su 12 piccoli aerei da ap¬poggio tattico monomotore Soko J-20 KRAGUJ (5). Anche oggi gli unici aerei su cui volano i piloti sloveni sono velivoli con motore a pistoni o turboelica. A partire dai Pilatus PC-9 HU¬DOURNIK, acquistati in due lotti: tre in versio¬ne “A” nel 1995 per l’addestramento (uno è andato perduto nel 2004), e altri 9 PC-9M SWIFT nel 1998-1999, con capacità di appog¬gio tattico, potendo installare pod di lanciarazzi, mitragliatrici da 12,7 mm o bombe, oltre a sistemi di contromisure. Gli apparecchi sono in fase di ammodernamen¬to da parte dell’israeliana RADOM Aviation. La componente addestrativa è poi completata da due Zlin Z. 143 e 8 Zlin Z.242L, acquistati nel 1994-1996. Gli UTVA-75 ereditati dalla ex Jugoslavia (14 in tutto) sono stati invece cedu¬ti agli aeroclub locali – assieme ad alcuni aerei leggeri già “militarizzati” nel 1991 – anche se potrebbero essere richiamati in servizio in caso di necessità.
Per il trasporto e il collegamento sono poi in servizio dal 1998 due Pilatus PC-6 PORTER ed un biturbina Let L-410 TURBOLET di co¬struzione ceca (acquisito di seconda mano nel 1996), più l’unico aviogetto della componente aerea slovena, ossia un Dassault FALCON 2000EX, per il servizio governativo VIP. Altrettanto valida la componente ad ala rotan¬te che, dopo il passaggio alla Polizia nel 1996 di un paio di Agusta A-109 in servizio all’epoca dell’indipendenza (e il ritiro dal servizio di mez¬zi ex jugoslavi o ceduti dall’Italia di seconda mano a metà anni ’90), si compone di 16 eli¬cotteri multiruolo: 8 Bell 412 acquisiti nel 1991-1992, quattro Bell 206B-3 JET RANGER III (arrivati in due lotti tra 1994 e 2008) e altret¬tanti Eurocopter AS.532AL COUGAR, ordinati nel 2001 e consegnati nel 2003-2004. Come accennato, la grande ambizione di Lubiana è quella di dotarsi di una squadriglia basata su aerei da combattimento multiruolo, per farsi carico della difesa del proprio spazio aereo, oggi demandata ai TYPHOON italiani. Non ci sono ancora progetti concreti, anche se la data fissata per la scelta (il 2015) non è lontanissi¬ma. Diverse le opzioni sul tavolo, dall’acquisi¬zione di un addestratore avanzato/caccia leg¬gero (sul tipo del T-50 o dello M-346), alla ri¬cerca, magari sul mercato dell’usato, di velivo¬li più potenti, ma sempre “semplici”, come l’F-16, che interesserebbe anche la Croazia. Da sottolineare che nel 1996 alcune voci, poi rive¬latesi infondate, avevano parlato della possibi¬le acquisizione di un gruppo di KFIR israeliani. Più concreta (ma comunque ferma) la questio¬ne relativa all’acquisizione di un aereo da tra¬sporto tattico. Nel 2007, dopo aver testato il C-27J SPARTAN di Alenia e il CASA C-295, Lu¬biana aveva scelto il biturboelica spagnolo di EADS, per due esemplari (più un terzo in op¬zione) da consegnare nel 2009-2010. Il con¬tratto era stato siglato nel gennaio 2008: ma pochi giorni dopo, il catastrofico incidente oc¬corso a un C-295 polacco nuovo di pacca ha rimesso tutto in discussione; la successiva cri¬si economica ha fatto il resto e ogni decisione è stata rinviata al 2012 (il che potrebbe riaprire i giochi per il C-27J). Ci sarebbe poi anche un interesse sloveno per gli aerei antincendio: nel 1995 i 4 vecchi Canadair CL-215 ereditati dal¬la Jugoslavia erano stati rivenduti alla Grecia; più fattibile, invece, il possibile acquisto del¬l’Air Tractor AT-802 FIRE BOSS, già in servi¬zio con Croazia e Montenegro, e utilizzabile anche come ricognitore. Sicuramente meno ambiziosa la componente navale.
Come abbiamo visto, la piccola forza navale di Lubiana è inquadrata in un reparto alle dirette dipendenze del vertice operativo interforze della Difesa, la 430a Divisione Navale, di base pres¬so il piccolo sorgitore di Ankaran, il porto mili¬tare di Capodistria.
Qui si trovano due piccoli e modernissimi pat¬tugliatori costieri. Nel 1996, con la riattivazio¬ne dell’Unità di Difesa Costiera (che l’anno pri¬ma era stata fusa nel servizio navale della Po¬lizia), è stata acquistata una vedetta veloce tipo SUPER DVORA II realizzata dalla IAI israelia¬na. Ribattezzata ANKARAN, l’unità, lunga 25 metri, ha un dislocamento a p.c. di 52 tonnella¬te e raggiunge – grazie a due potenti motori diesel – la velocità massima di 42 nodi, con un’autonomia di 800 miglia a 25 nodi. L’ANKA-RAN (che ha un equipaggio di 13 uomini) im-barca due mitragliere Oerlikon da 20/70 mm, due mitragliatrici M-84 da 7,62 mm e un radar di scoperta e navigazione Raytheon ARPA. Lubiana aveva intenzione di acquisire altre unità di questo tipo, ma poi nel 2008 è arrivato l’annuncio – un po’ a sorpresa – relativo all’ac¬quisto di un più prestante pattugliatore costie¬ro di costruzione russa (venduto da Mosca a copertura di un debito con la Slovenia). Si trat¬ta del TRIGLAV, tipo SVETLYAK, nella versio¬ne export Project 10.412 da 375 tonnellate, quasi 50 metri di lunghezza, e velocità massi¬ma di 30 nodi, con un’autonomia di 2.200 mi¬glia a 13 nodi. L’unità, che nel luglio 2010 ha effettuato le prove in mare dopo essere stata consegnata alla Slovenia, dispone di una di¬screta panoplia di armi e sensori, con margini di crescita e modifica.
La versione slovena imbarca solo un impianto AK-306 da 30 mm (tipo Gatling, derivata dal sistema CIWS AK-630 russo), quello prodiero, poiché a poppa si è preferito imbarcare due gommoni tipo Zodiac FC.470, acquistati nel 2004 e una camera di decompressione. L’ar-mamento è completato da due mitragliatrici da 14,5 mm e da una doppia dotazione di lancia-missili portatili: 16 sistemi MANPADStipo IGLA antiaerei, e SHTURM, una versione speciale del missile controcarro AT-9 SPIRAL 2 da im¬piegare in funzione antinave. Da notare che l’unità a prora è predisposta per imbarcare anche un cannone da 76 mm tipo AK-176M o similare.
Il servizio navale della Polizia dispone poi di piccole imbarcazioni per la sorveglianza fora¬nea o delle acque interne, compresi diversi motoscafi ex civili, come il P-111 (da 441. e 40 nodi, armato con una mitragliatrice da 7,62 mm), acquistato in Italia nel 1995 (6). Mezzi con i quali contribuisce a controllare 43 chilometri di coste e 300 kmq di acque costiere. Con quasi 9.000 effettivi (molti provenienti dai reparti di difesa territoriale degli anni ’90), la Polizia Slovena rappresenta infatti anche un utile complemento per il minuscolo apparato militare nazionale: partecipa a missioni inter¬nazionali e dispone sin dal 1967 di un proprio reparto aereo. Quest’ultimo è oggi incentrato su tre aerostazioni – Lubiana, Maribor e Porto-roz – e una mezza dozzina di elicotteri, per lo più costruiti da Agusta (A-109, AB-206, -212 e -412) e un moderno Eurocopter EC-135 arri¬vato nell’ambito del programma Shenghen di controllo delle frontiere.
Come si può vedere la Slovenia ha fatto molta strada in questi 20 anni per ammodernare il proprio apparato militare. E il più è stato fatto. Dei programmi in corso o allo studio abbiamo detto. Al momento gli sforzi sono concentrati sul completamento dell’acquisizione dei nuovi fucili d’assalto e dei blindati Patria AMV (con eventuali aggiustamenti per quanto riguarda i “numeri” finali e le versioni), e sul potenziamen¬to della componente aerea, che nel decennio 2010-2020 dovrebbe fare un salto di qualità, acquistando caccia multiruolo e velivoli da tra-sporto tattico (due programmi che possono in¬teressare l’industria italiana, con il già valutato SPARTAN e la versione “combat” del MA¬STER).
Lubiana, fortemente impegnata sul fronte delle missioni internazionali (anche in zone molto calde) avrà però sicuramente bisogno di altro materiale, soprattutto per il suo piccolo, ma bene addestrato e altamente professionalizzato Esercito.
Ad esempio, nuovi veicoli leggeri tattici per af¬fiancare/sostituire gli HUMVEE: il LINCE di Iveco potrebbe essere il candidato ideale, visto anche che è già stato acquistato da nazioni i cui contingenti spesso operano congiuntamen¬te a quelli sloveni. Per l’artiglieria, l’acquisizione degli obici della Soltam viene considerata solo un gap-filler, in attesa di dotarsi di moderno materiale mobile, come gli autocannoni tipo CAESAR per inten¬derci, che ben si integrerebbero con i reparti medio/leggeri su blindo. D’altra parte, i gene¬rali sloveni devono appunto decidere che fare della componente pesante terrestre: se il de¬stino dei VCC M-80 sembra segnato, per quan¬to riguarda i carri ancora si discute se mante¬nere quelli più recenti, aggiornandoli radical¬mente, o se passare anche qui ad un’autoblindo pesante da combattimento. Quello che sem¬bra certo, tuttavia, è che la Slovenia saprà an¬cora una volta fare la scelta giusta.

(1) Dal 27 giugno al 6 luglio 1991
(2) Monte di Santa Gertrude, per i Croati. Per la Slove¬nia si tratta del Trdinov vrh.
(3) Sono poi in servizio altri 12 T-55 nelle versioni recu¬pero e gittaponte.
(4) Il “caso Patria” è comunque costato le elezioni, nel 2008, all’allora Primo Ministro Janez Jansa, ossia l’ex Ministro della Difesa che aveva guidato la “guerra dei 10 giorni”.
(5) Comunque negli hangar sloveni dopo l’indipenden¬za si trovavano in deposito un paio di vecchi F-86D SABRE, in servizio con l’Aeronautica Jugoslava tra il 1956 e il 1971, oltre ad un Republic F-84G conservato per motivi museali.
(6) La polizia slovena ha acquistato mezzi navali dal¬l’Italia sin dal 1968. Uno di questi, la vedetta M-55, è stata affondata nel 1993 da una raffica di bora di straor¬dinaria violenza.

49 – Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria 1968 Vol. n° 16 – Giuseppe Radole: Gli organi nelle chiese istriane
ATTI E MEMORIE

DELLA SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E STORIA PATRIA

Volume XVI della Nuova Serie
(LXVIII della Raccolta)

VENEZIA
MCMLXVIII

GIUSEPPE RADOLE

GLI ORGANI NELLE CHIESE ISTRIANE

Il regesto degli organi istriani che qui pubblichiamo deriva da uno studio più ampio e completo uscito sulla rivista « L’Or¬gano », V (1967), n. 2 e VI (1968), nn. 1 e 2, e che apparirà in volume a cura dell’Editore della detta rivista R. Pàtron di Bo¬logna.
Abbiamo intrapreso queste ricerche per colmare, se non è presunzione, una lacuna nei pur numerosi studi di cose istriane.
È un argomento che non è stato mai trattato esplicitamente. Ma, come i nostri numerosi canti popolari, sacri e profani, sono parte viva di un ambiente, così anche gli organi delle chiese di città e campagna si inseriscono e caratterizzano i luoghi sacri: il loro aspetto architettonico come la loro fonica contribuiscono a creare l’atmosfera spirituale di un ambiente. E dove queste caratteristiche sono state mutate, voi avvertite che c’è stata una amputazione, che una voce, con atto di violenza, è stata ridotta al silenzio.
Perché il lettore non si trovi a disagio di fronte ad una fred¬da catalogazione di date e di nomi, crediamo opportuno in¬quadrare il tutto, brevemente e a grandi linee, in un contesto storico più ampio, nel quale anche l’organo, nel suo campo, è documento di una civiltà e di un gusto musicale.
L’organo, come strumento ecclesiastico ad uso liturgico in¬comincia ad essere presente, con una certa frequenza, nelle chie¬se, appena dopo il Mille.
La testimonianza più antica di una certa attività organi¬stica in Istria risale però alla fine del Trecento, che non è tarda ri¬spetto a quella che si riscontra in altre provincie con storia mu¬sicale più importante. Nel 1381 infatti è segnalata a Udine l’at¬tività di un non meglio identificato « Magister de Justinopoli », organaro « super organis aptandis ».

Ai primi decenni del Quattrocento, invece, risalgono alcune testimonianze sulla presenza di strumenti: a Pola nel 1417 è segnalato un organo « ingentis molis » e, a Capodistria, nel libro cassa è segnata un’uscita in favore di un tale che suonò l’organo.
Con l’inizio del Cinquecento le notizie si fanno più frequen¬ti. Va segnalata anzitutto l’attività dello stampatore Andrea An¬tico da Montona, che a Roma, nel 1517, pubblica la prima parti¬tura fin’ora nota di musica per organo: «Frottole intabulate da sonar organi».
È segnalata a Capodistria la costruzione di un nuovo stru¬mento (1516), per il quale Vittor Carpaccio dipinse le portelle ed altre cinque tele per la cantoria (1523).
Sempre a Capodistria, per la chiesa dei PP. Domenicani, Piero de Zuanne (1534) fornisce un organo, mentre a Pirano, nello stesso anno, è Mastro Jacomo di Venezia che si impegna nella costruzione di uno strumento nuovo.
Pochi anni più tardi (1547) anche nella cattedrale di Parenzo viene eretto uno strumento, che forse non fu il primo.
Nella seconda metà del secolo, Giovanno Spica da Pinguente, uomo di lettere e pedagogo, svolge attività organaria a Bo¬logna, Venezia, Ceneda e Gemona, mentre l’organaro francese Martino Datis è presente a Capodistria (1560, 1563 e 1565) e a Pirano (1567 e 1576).
Anche Giulio Zacchino « tergestinus », compositore e mae¬stro di cappella a S. Giusto e a Venezia (S. Giorgio Maggiore), opera alcuni restauri a Capodistria (1572).
Il Naldini ci avverte che nel duomo di Isola nel 1576 si era fabbricato «un organo maestoso».
Ma anche Cittanova, a cura del vescovo Vielmi, dotava la cattedrale di uno strumento (1572).
È di pochi anni più tardi (1587) la più bella cantoria esisten¬te in Istria, quella della Madonna delle Misericordie di Buie, adorna di tre tele, forse del Tintoretto, e sulle quali manca uno studio esauriente. Non si sa se allora fu costruito anche l’organo.
Alla fine del secolo (1595) il compositore Francesco Spon¬ga di Parenzo, discepolo di Andrea Gabrieli, pubblica dei Ricercari e delle Arie francesi eseguibili anche all’organo.

Più avaro di notizie sugli organi è il Seicento: sono noti infatti soltanto alcuni restauri. Di questi il più importante resta il trasloco dell’organo del duomo di Pirano, che da un posto vicino al presbiterio, passò nella cantoria che si può ancora am¬mirare in quella chiesa.
Tra i maestri organari presenti, il maggiore è certamente Eugenio Casparini, autore dell’organo di S. Giusto a Trieste, di S. Giustina a Padova, di S. Maria Maggiore a Trento. Operò un restauro a Isola (1666).
Negli ultimi anni del secolo (la data precisa non ci è nota) l’organaro veronese Carlo De Beni costruì un positivo per la chie¬sa della Madonna dei Campi di Visinada. Lo strumento si tro¬va attualmente, in uno stato di rudere, a S. Domenica di Visi¬nada.
Il Settecento è il secolo che vide molti rifacimenti di chiese: andarono così disperse varie opere d’arte e molti strumenti, so¬stituiti quest’ultimi da nuovi, costruiti secondo canoni di ideali sonori che vengono definiti barocchi.
Se Giovanni Battista Piaggia con il positivo di Piemonte (1740) ricorda ancora il mondo sonoro classico, con Pietro Nac-chini entriamo decisamente in un’epoca nuova: quella dell’or¬gano barocco di scuola veneta.
A Pietro Nacchini si deve l’organo di Pirano (1746) e della stessa epoca dovrebbe essere quello di S. Lorenzo del Pasenatico, che può essere attribuito, per certe particolarità di costruzione, allo stesso artefice.
In società con il discepolo Francesco Dazzi, il Nacchini co¬struisce anche l’organo della basilica di Parenzo (1759). Il Dazzi da solo, invece, costruì l’organo di Umago (1776), mentre un secondo Francesco Dazzi, nel 1794, fornì l’organo a Cittanova.
Del muranese Antonio Barbini è l’organo di Rovigno (1754), uno dei più grandi strumenti esistenti in Istria (di 12 piedi) e, per numero di registri, superiore anche a quello di Capodistria.
Chi domina però il secolo è l’organaro estense Gaetano Cal¬lido, lo stradivario dell’organo. È un continuatore della scuola del Nacchini e dei Dazzi, anche se nelle proporzioni delle canne adotta misure, proprie.

In Istria costruì molti strumenti, di cui rimangono, pur¬troppo alterati nella fonica, i seguenti: Capodistria, cattedrale; Isola, duomo; Buie; Montona; Pinguente. Questo di Pinguente è l’unico ancora quasi allo stato originale e quindi di grande pregio. Risultano invece dispersi quello di S. Biagio e di S. Chia¬ra di Capodistria e del Duomo di Pola. Al Callido vengono attribuiti anche gli strumenti di Portole e di Pisino.
Organi callidiani furono costruiti anche a Fiume (duomo e agostiniani); Ossero; Lussingrande e Lussinpiccolo.
Tutto il Settecento, come si vede, è dominato dagli organari veneti, ulteriore prova, se ce n’era bisogno, di quei legami di civiltà che per secoli hanno unito l’Istria a Venezia.
Unica eccezione è l’organo di S. Pietro in Selve, celebre per la bellezza della sua cassa, ricca di ornamenti e sculture, opera di un ignoto organaro di scuola tedesca.
L’Ottocento è aperto da un organaro di scuola callidiana, Francesco Merlini, autore dello strumento di sant’Anna di Ca¬podistria (1805).
Giacomo Bazzani di Venezia fornì l’organo di Dignano (1818).
Giuseppe Girardi di Rossano (Vicenza) costruì buoni stru¬menti a Barbana (1844) e Grisignana (1846).
Del friulano Pietro de Corte è l’organo di Fasana (1858).
Tutti questi organari continuano, senza apportarvi modifi¬che, le progettazioni, nella fonica e nella meccanica, della scuo¬la callidiana.
Una via più personale è invece seguita dal vicentino Giovan Battista De Lorenzi, cui si deve oltre all’organo di sant’Antonio nuovo di Trieste (1836) anche quello di Visinada (1870) e pro-babilmente quello di Visignano.
L’arte organaria lombarda, nella seconda metà dell’Otto¬cento è largamente rappresentata dal bresciano Giovanni Tonoli. Questi dopo aver costruito una serie di organi a Trieste e nel contado, attorno al 1860, arrivò con la sua arte anche in Istria: Ospo (1866), Antignana (1868); Lindaro; Pola, chiesa della Mi¬sericordia.
Di questi strumenti, mentre quello di Lindaro non esiste più e quello di Pola è in condizione precarie, quello di Anti¬gnana, restaurato recentemente, è ancora vicino al suo impianto originale.
Attorno alla metà del secolo, una sua impronta personale la lascia l’organaro Carlo Hesse, che, all’inizio della sua car¬riera visse a Trieste, ma che operò soprattutto in Austria, dove, grazie alla sua presenza, l’organaria italiana esercitò un certo influsso.
In Istria costruì l’organo di Corte d’Isola (1847) e di Villa Decani (1852).
Organari locali, di modeste possibilità, furono attivi lun¬go tutto il corso del secolo, ma la loro opera si esaurisce in re¬stauri più o meno azzeccati ed in lavori di ordinaria manuten¬zione.
Ricordiamo anzitutto Pietro Antonio Bossi, che restaurò l’organo di Pirano (1823) e molti altri lavori eseguì a Trieste. Non sappiamo se il nipote suo Vincenzo Bossi abbia lavorato in Istria, mentre a Pietro Bossi si deve il restauro dell’organo di Cherso, rovinato da un tale Andrea Cetti. Di quest’ultimo sap¬piamo che restaurò l’organo di autore ignoto, del primo Otto¬cento, nella chiesa di Torre di Parenzo e che lavorò molto in Dalmazia.
Angelo Dolzan di Trieste, conservatore di alcuni organi del¬la città, costruì l’organo di Momiano (1896) e gli vengono attri¬buiti quello di Pedena (1888 c.) ed altri in Dalmazia.
Del fabbricator di organi Giovanni Cella di Cherso, che lavorò molto in Dalmazia, non ci è noto, per quel che riguarda l’Istria, che il restauro del vecchio organo di Daila (1898).

Con il distacco politico dell’ Istria dal Veneto (1866), si nota una continua penetrazione dell’arte organaria slovena e tedesca, facilitate per di più da un lento declino di quella italiana, con-siderata in ritardo rispetto alle altre scuole.
Questo fenomeno di penetrazione è evidentissimo nelle zone dell’ Istria orientale e centrale, anche se proprio a Rovigno (chie¬sa dei PP. Francescani) dobbiamo registrare la presenza del pri-mo organo in terra istriana costruito da uno sloveno di origine tedesca: Edoardo Kunad di Lubiana (1882). Lo strumento fu poi sostituito da un’altro di scuola tedesca, dei Fratelli Rieger (1908).
Molto attivi si rivelano gli Zupan di Kamnagorica: :Ignazio Zupan (1825-1880) ed i due suoi figli: Ignazio (1835-1915) e Giovanni (1857-1900), che, dal 1887 all’inizio della prima guerra mondiale, costruirono una ventina di veramente buoni strumenti.
Secondo gli ideali ceciliani tedeschi, dai quali derivano i loro indirizzi nella progettazione, realizzano la così detta fonica romantica, con netta prevalenza dei registri di otto piedi.
Altri organari sloveni presenti con singoli strumenti sono Anton Dernič, cui si deve l’organo di Villa Treviso (1911) e Andrea Malanowshy che costruì un piccolo strumento per Piedimonte del Taiano.
Di organari tedeschi, oltre ai già ricordati Fratelli Rieger, che costruirono un organo a Passo di Chersano (1891), ricor¬diamo J. M. Kauffmann di Vienna, autore dell’organo di Sanvincenti, ma anche di quello della basilica di Aquileia (1896).
È attivo anche l’organaro cecoslovacco Jan Tuček (Chersa¬no, Fianona), forse qui chiamato da quei sacerdoti, suoi conna¬zionali, scesi in Istria a coprire i posti vacanti di molte parrocchie.
Gli organari italiani sono però ancora presenti: i Fratelli Pugina di Padova forniscono l’organo ai PP. Minori di Pirano (1897); Carlo Vegezzi-Bossi di Torino restaura l’organo di Pi¬sino (1901); Gaetano Zanfretta di Verona costruisce un nuovo organo a Verteneglio (1904); Giuseppe Malvestio di Padova a Daila (1910).
Un grave danno il patrimonio organano lo ebbe a soffrire durante la prima guerra mondiale, quando il Governo austriaco, per esigenze belliche, decise di requisire in tutto il territorio dell’Impero non solo le campane ma ogni altro oggetto reperi¬bile di stagno non escluse le canne degli organi. Tale decisione fu presa nel maggio del 1917 e comunicata alle Curie vescovili di Trieste e Parenzo.
Si fece un inventario di tutti gli organi esistenti, perché la legge escludeva dalla requisizione gli strumenti costruiti anteriormente all’anno 1800 e quelli inferiori agli otto registri e poi iniziò le requisizione.
Nella diocesi di Parenzo-Pola si incominciò a levare le canne già alla fine del 1917. Non così per la diocesi di Trieste -Capodistria, dove i parroci presentarono reclami alla Commis¬sione governativa, pur di ritardare la requisizione. Tuttavia nel giugno-luglio del 1918 anche qui si venne al sequestro. Natu¬ralmente non tutte le canne furono levate, ma soltanto quelle di stagno di prospetto. Le interne, dì piombo, vennero rispar¬miate.
A guerra finita iniziò l’opera di ripristino e restauro, ma qualche organo attende ancora oggi (Corridico, Draguccio, Fasana, Grisignana) che qualcuno ricostruisca il prospetto.
Tra le due guerre molti restauri furono compiuti da Mario Giovannini (Ivica) di Pisino mentre di organi nuovi ne furono costruiti pochi: a Parenzo, Pola, Dignano, Valle, Cittanova.
Attorno agli anni Quaranta invece molti organi classici, risparmiati dalla furia della guerra, furono alterati nella loro fisionomia fonica da restauri maldestri, operati principalmente dall’organaro Giorgio Bencz di Gorizia (Capodistria, Isola, Pi¬rano, Buie, Umago, Pola-Misericordia). Egli eliminò le file più acute del ripieno, i flauti in duodecima, la cornetta ed i trom-boncini. Quasi sempre aggiunse una viola.
Dopo la seconda guerra infine l’organaro sloveno Vinko Rebolj di Maribor, dimostrando insensibilità artistica e man¬canza di cultura organaria, operò altre mutilazioni (Pirano, Umago, S. Lorenzo di Daila, Rovigno), mutilazioni che sono più gravi di quelle fatte dal Bencz.
Ciò vale soprattutto per l’organo di Rovigno.
Di organi nuovi ne sono stati costruiti due, dall’organaro sloveno Frane Jenko di Lubiana: a Pola-Francescani e a Villa Decani, ma non sono strumenti interessanti né per la fonica e meno ancora per la parte meccanica.

REGESTO CRONOLOGICO DEGLI ORGANI IN ISTRIA

1381 – Un Magister de Justinopoli è chiamato a Udine super organis aptandis.

1417 – Pola – cattedrale. È segnalato un organo ingentis molis, collocato nella navata destra.

1421 – Capodistria – cattedrale. Viene pagato un importo cuidam qui pulsavit organa.

1516 – Capodistria – cattedrale. Viene costruito un nuovo organo, di cui non si conosce né l’autore, né la composizione, collocato in can¬toria, vicino al presbiterio.

1517 – Roma. Andrea Antico da Montona imprime con procedimento silografico, la prima intavolatura a stampa per organo, che si cono¬sca: Frottole Intabulate Da Sonare Organi Libro Primo.

1523 – Capodistria – cattedrale. Vittor Carpaccio dipinge le portelle per l’organo, di cui due {Presentazione al tempio e Strage degli inno¬centi) si conservano ancora nella cattedrale capodistriana e, per il parapetto della cantoria, altre cinque tele, di cui ci sono pervenute due (Il profeta Zaccaria e Geremia).

1534 – Capodistria – S. Domenico. Maestro Piero de Zuanne fornisce l’organo.
Capodistria – Cattedrale. Viene dorata la cassa dell’organo.
Pirano – duomo. Maestro Jacomo di Venezia firma il contratto per la costruzione di un nuovo organo (200 ducati) in sostituzione di quello vecchio. Esercitò poi l’ufficio di organista per due anni.

1540 – Pirano – duomo. Il pittore Maestro Ambrogio è chiamato a deco¬rare la cassa dell’organo, posto probabilmente in cornu epistolae.

1547 – Parenzo – basilica. Viene costruito da autore ignoto l’organo, che forse non fu il primo.

1550 – Giovanni Spica da Pinguente svolge attività organaria a Bologna, Venezia, Ceneda, Gemona, attività che è provata fino al 1568.

1560 – Capodistria – cattedrale. Il francese Martino Datis ripara l’organo. Per lo stesso motivo è presente nel 1563 e 1565.

1567 – Pirano – duomo. Giulio Zacchino, tergestinus, e Massimilian da Udine restaurano l’organo.

1572 – Cittanova – cattedrale. Per interessamento del vescovo Vielmi vie¬ne costruito l’organo, probabilmente il primo.

1576 – Pirano – duomo. Martino Datis ripara alcuni guasti all’organo, mentre il depintor de Piran, Alessandro Avanzata, ritocca la cassa.
– Isola. Il vescovo Naldini scrive: « …su la porta principale un or¬gano fabbricato nel millecinquecentosettantasei… ».

1587 – Buie – Madonna delle Misericordie. Viene costruita una bellissima cantoria, adorna di tre tele forse del Tintoretto.

1595 – Venezia. Francesco Sponga di Parenzo, discepolo di Andrea Ga¬brieli, pubblica, presso G. Vincenti, un libro di Ricercari et Arie francesi.

1614 – Pirano – duomo. Trasportata la cantoria sopra l’ingresso princi¬pale, Maestro Palma di Venezia firma il contratto per la nuova cassa dell’organo.
1621 – Albona. Il compositore Gabriello Puliti nella sua pubblicazione
Armonici accenni… Venezia, 1621, si dichiara: Maestro di Cap¬pella et Organista della molto magnifica Comunità d’Albona. Esi¬steva dunque l’organo.

1622 – Pirano – duomo. Si completano la cantoria e la cassa, così come
appaiono al visitatore d’oggi.

1629 – Pirano – duomo. Si porta l’organo vecchio nella nuova cantoria.

1630 – Pirano – duomo. Pietro Napolitano ripassa l’organo.

1654 – Capodistria – cattedrale. Doratura della cassa dell’organo.

1666 – Isola – duomo. Eugenio Casparini restaura l’organo.

1690 – (circa) – Visinada – Madonna dei Campi. L’organaro veronese Carlo De Beni costruisce l’organo. Le portelle sono decorate in¬ternamente da una Annunciazione ed esternamente dalle figure di S. Giovanni ev. e S. Giovanni Battista. L’organo attualmente è a S. Domenica di Visinada.

1702 – Capodistria – cattedrale. Si restaura l’organo.

1704 – Pola – cattedrale. Si restaura l’organo.

1707 – Pola – cattedrale. L’organo viene trasportato, dalla navata, dietro l’altare maggiore.

1718 – Capodistria – cattedrale. Giacomo de Prosdocimi restaura l’organo.

1724 – Pirano – duomo. Antonio Lodovico de Moisè ripara l’organo.

1733 – Verona. Gaetano Amigazzi costruisce un organo per S. Giorgio Maggiore di Venezia. Lo strumento fu trasferito nel 1867 a Daila e nel 1910 a S. Lorenzo di Daila.

1740 – Piemonte. Giovanni Battista Piaggia di Venezia fornisce un organo positivo, lasciando anche un metodo per la registrazione, l’uni¬co noto di questo autore.

1746 – Pirano – duomo. Pietro Nacchini fornisce un nuovo organo. È suo probabilmente anche quello di S. Lorenzo del Pasenatico (1735?).
– Verteneglio. Giacomo de Prosdocimi restaura l’organo.

1754 – Rovigno – duomo. L’organare muranese Antonio Barbini costrui¬sce un nuovo organo, di 12 piedi.

1759 – Parenzo – basilica. Pietro Nacchini e Francesco Dazzi costruisco¬no un nuovo organo, collocandolo in cantoria sopra l’ingresso principale.

1766 – Cittanova. Si restaura l’organo.

1771 – Capodistria – S. Biagio. Gaetano Callido costruisce un organo po¬sitivo, op. 71, e firma il contratto per quello della cattedrale.

1773 – Capodistria – cattedrale. Gaetano Callido monta il nuovo organo di 12 piedi, op. 81., situandolo in cantoria sopra l’ingresso prin¬cipale.

1775 – Venezia. Si firma con Francesco Dazzi il contratto per l’organo
di Umago. Prezzo 600 ducati.

1776 – Umago. Francesco Dazzi monta il nuovo organo.

1780 – Capodistria – cattedrale. Gaetano Callido ripassa l’organo.
– Pisino – duomo. Gaetano Callido, secondo una nota di Renato Lunelli, avrebbe costruito l’organo e in data incerta anche quello della chiesa dei PP. Francescani.

1783 – S. Pietro in Selve. Vengono allontanati i Monaci Eremitani di S. Paolo. È di qualche anno anteriore l’organo di scuola tedesca, chiuso in bellissima cassa barocca.

1787 – Pinguente. Gaetano Callido costruisce l’organo, op. 238.

1788 – Capodistria – S. Chiara. Gaetano Callido costruisce l’organo op.
249, ed, in data incerta, forse anche quello delle carceri.

1791 – Buie – duomo. Gaetano Callido costruisce il nuovo organo, op. 287. Interessante il metodo di fare le combinazioni dei registri. La cantoria è opera di Osvaldo Piazza di Umago.

1794 – Cittanova – Cattedrale. Il secondo Francesco Dazzi costruisce un
nuovo organo, collocandolo in cantoria sopra l’ingresso principale.

1795 – Pola – cattedrale. Si ricorre a Gaetano Callido per la costruzione
del nuovo organo, collocato poi in cantoria sopra l’ingresso prin¬cipale.

1796 – Isola – duomo. Gaetano Callido costruisce un nuovo organo. In¬teressante il metodo di fare le combinazioni dei registri. La cassa è opera di Osvaldo Piazza di Umago.

1796 – (circa) – Montona. Gaetano Callido costruisce un, nuovo organo. Attualmente è in uno stato di totale abbandono. La cantoria è opera di Osvaldo Piazza di Umago.
– Portole. È probabilmente del Callido il nuovo organo.
– Capodistria – S. Basso. Organo di autore Ignoto. Non esiste più.
– Isola – B. V. di Alieto. Organo di autore Ignoto. È ancora effi¬ciente.

1804 – Torre. Osvaldo Piazza innalza la nuova cantoria. Della stessa epo-
ca è anche l’organo di autore Ignoto.

1805 – Capodistria – Sant’Anna. Francesco Merlini fornisce un nuovo or-
gano.

1806 – (circa) – Cittanova – Madonna del Popolo. Viene posto un organo
di autore Ignoto. Non esiste più.

1817 – Pirano – duomo. Giacomo Daris di Venezia ripara l’organo.

1818 – Dignano. Giacomo Bazzani di Venezia costruisce l’organo di 12
piedi.

1823 – Pirano – duomo. Antonio Bossi di Trieste restaura l’organo.

1837 – Trieste. Vengono pubblicati a Trieste i Commentari storico-geografici della Provincia dell’Istria del vescovo di Cittanova (1641-1655) Giacomo Filippo Tommasini, dove viene segnalata l’esisten¬za di organi a: Cittanova, Grisignana, Portole, Umago, Pinguen¬te, Buie, Gimino, Sanvincenti, Montona, Capodistria, Pirano, Albona.

1838 – S. Domenica di Visinada. Si innalza la cantoria e si acquista l’or-
gano della Madonna dei Campi di Visinada, opera di Carlo De Beni. Dello strumento, spogliato delle canne, non rimane che la cassa, salvatasi in grazia delle portelle.

1842 – Rovigno – duomo. Giuseppe Girardi restaura l’organo, allungando la tastiera di 5 note verso l’acuto.
1844 – Barbana. Giuseppe Girardi costruisce l’organo.

1846 – Grisignana. Giuseppe Girardi costruisce un nuovo organo.

1847 – Corte d’Isola. Carlo Hesse costruisce l’organo.

1852 – Villa Decani. Carlo Hesse costruisce un nuovo organo.

1858 – Fasana. Pietro De Corte costruisce l’organo n. 30. Attualmente è fuori uso.

1865 – (circa) – Pola – Madonna delle Misericordie. Giovanni Tonoli costruisce l’organo, op. 142.

1866 – Buie – Madonna delle Misericordie. Il pittore Luigi Castro di Trieste restaura le pitture della cantoria.
– Ospo. Giovanni Tonoli di Brescia costruisce l’organo.

1867 – (circa) – Lindaro. Giovanni Tonoli costruisce l’organo, op. 143.

1868 – Antignana. Giovanni Tonoli costruisce l’organo, op. 145.

1870 – Visinada. Giovan Battista De Lorenzi costruisce l’organo, n. 134.
Dello stesso organaro è probabilmente anche quello di Visignano,
costruito in data non conosciuta. Quest’ultimo è totalmente fuori
uso.

1872 – Rovigno – duomo. Giovan Battista De Lorenzi restaura l’organo
operando anche alcune sostituzioni.

1877 – Apriano (Veprinac). Ignazio Zupan costruisce l’organo.

1881 – Covedo. Ignazio Zupan costruisce l’organo.
– Fasana. Edoardo Kunad (Kunath) di Lubiana ripara l’organo.
– Rovigno – duomo. Edoardo Kunad restaura l’organo.

1882 – Rovigno – S. Francesco. Edoardo Kunad costruisce l’organo, collocandolo dietro l’altare maggiore.

1886 – Jelsane. I fratelli Zupan costruiscono l’organo.

1886 – (circa) – Draguccio. Viene acquistato un organo usato da una
chiesa di Trieste.

1887 – Poljane. I Fratelli Zupan costruiscono l’organo.
– Fasana. Edoardo Kunad restaura l’organo.
– S. Pietro in Selve. Edoardo Kunad restaura l’organo.
– Dignano. Angelo Dolzan restaura l’organo.

1891 – Capodistria. Giacomo Bazzani restaura l’organo della cattedrale e di Sant’Anna.

1894 – Rukovac. I Fratelli Zupan costruiscono l’organo.
– Divaccia. I Fratelli Zupan costruiscono l’organo.

1895 – Passo di Bogliuno. I Fratelli Rieger forniscono un piccolo organo.
– Klanec. I Fratelli Zupan costruiscono l’organo.
1896 – Momiano. Angelo Dolzan costruisce l’organo, attualmente smon-
tato.

1896 – (circa) – Pola – chiesa della Marina. Si costruisce l’organo di scuo¬la tedesca. Lo strumento fu spogliato di tutto il materiale fonico dopo la seconda guerra mondiale.
1897 – Sant’Antonio di Capodistria. I Fratelli Zupan costruiscono l’or-
gano.
– Capodistria – Sant’Anna. Pietro Zanni di Grado restaura l’organo.
– Pirano – chiesa di S. Francesco. I Pugina di Padova costruiscono un organo, inaugurato da Oreste Ravanello.

1898 – Daila. Giovanni Cella di Cherso restaura l’organo Amigazzi del 1733.
– Di autori Ignoti dell’Ottocento sono gli organi: Madonna delle Misericordie di Buie, di Gallesano, di Valle, di Carcase, di Canfanaro.

1900 – Abbazia. I Fratelli Zupan costruiscono l’organo.

1900 – (circa) – Sanvincenti. Ioch. M. Kauffmann di Vienna costruisce
un nuovo organo.

1901 – Pisino – duomo. Carlo Vegezzi-Bossi riforma l’organo, trasformandolo a due tastiere, con trasmissione pneumatica.

1902 – Felicia. Ignazio Zupan costruisce l’organo.
– Storje. Ignazio Zupan costruisce l’organo.

1903 – Laurana. Ignazio Zupan costruisce l’organo.

1904 – Verteneglio. Gaetano Zanfretta di Verona costruisce un nuovo
organo, mentre il precedente viene ceduto a Padena. La nuova cassa è di Francesco Ive di Verteneglio.

1905 – Pirano – duomo. I Bazzani di Venezia restaurano l’organo.

1906 – Gimino. Ignazio Zupan costruisce un nuovo organo.
– Gallignana. Ignazio Zupan costruisce un nuovo organo.

1907 – Rozzo. Ignazio Zupan costruisce un organo.
– Lindaro. Ignazio Zupan costruisce un nuovo organo.

1908 – Rovigno – San Francesco. I Fratelli Rieger costruiscono un nuovo
organo.
– Ciana. Ignazio Zupan costruisce un nuovo organo.
– Dolegna. Viene acquistato un vecchio organo, che andò disperso nel 1931.

1909 – Capodistria – Sant’Anna. Pietro Zanni di Grado ripara l’organo.

1910 – Daila. Domenico Malvestio di Padova costruisce un nuovo organo. Il precedente passa a San Lorenzo di Daila.
– Volosca. Ignazio Zupan costruisce un nuovo organo.

1910 – (circa) – Rovigno – Ospizio Marino. Viene costruito un piccolo strumento di autore Ignoto. Andò disperso dopo la seconda guer¬ra mondiale.

1911 – Villa Treviso. Anton Dernič costruisce l’organo.
– Chersano – Jan Tuček costruisce l’organo.
– Fianona. Jan Tuček costruisce l’organo.

1912 – Corridico. Ignazio Zupan costruisce un organo a due tastiere.
Lo strumento è privo delle canne di prospetto, sequestrate dal¬l’Austria.

1914 – Parenzo – cattedrale. Viene demolita la cantoria e si smonta l’or¬gano del 1759. Andò disperso durante la prima guerra.

1817 – Vienna. Il Governo austriaco decide di requisire le canne degli organi. La decisione viene comunicata alle curie nel mese di mag¬gio. Verso la fine dell’anno molti organi della diocesi di Parenzo erano già spogliati.
1918 – Continua la spogliazione degli organi, che si estende anche alla diocesi di Trieste.

1920 – (circa) – Albona. Si demolisce quanto rimaneva dell’organo.
– Torre di Parenzo – Giovanni Kacin di Gorizia, restaura l’organo.

1923 – Pola – cattedrale. Un incendio (notte dal 6 al 7 ottobre) distrug-
ge l’organo ed il tetto della cattedrale.

1924 – Parenzo – basilica. Carlo Vegezzi-Bossi di Torino fornisce un piccolo organo prefabbricato. Si trova attualmente (dal 1957 c.) nel¬la chiesa della Madonna degli Angeli.

1926 – Villa Decani. Anton Dernič rimette le canne di prospetto e so-
stituisce la Vigesimanona con una Viola.

1927 – (circa) – Barbana. Mario Giovannini restaura l’organo.

1928 – Portole. Antonio Milanese di Treviso restaura l’organo, apportando modifiche radicali. 1930 – Piemonte. Mario Giovannini restaura l’organo.

1930 – (circa) – Fianona. Mario Giovannini restaura l’organo.
– Sant’Antonio di Capodistria. Mario Giovannini restaura l’organo.

1931 – Lazzaretto. Viene acquistato a Trieste (S. Giusto) il piccolo organo costruito da Giovanni Tonoli nel 1867. Fu rimontato da Mario Giovannini.
– Pedena. Giovanni Kacin di Gorizia sistema l’organo usato, acqui¬stato a Piazzale di Piave.
– Felicia. Mario Giovannini restaura l’organo.

1931 – (circa) – Barbana. Domenico Malusà di Dignano restaura l’organo.

1933 – Pola – cattedrale. Viene inaugurato il nuovo organo a 3 manuali,
opera di Vincenzo Mascioni di Cuvio. È sistemato dietro l’altare maggiore.

1934 – Dignano. Beniamino Zanin e Figli di Codroipo forniscono un
nuovo organo.

1935 – Verteneglio. I Fratelli Lusiani di Padova restaurano l’organo, operando sostituzioni.

1935 – (circa) – Orsera. Aperta al culto la nuova chiesa, l’organo vecchio
andò disperso.

1936 – Pola – Madonna delle Misericordie. Giorgio Bencz restaura l’or¬gano di Giovanni Tonoli, elimina la cassa ed alcuni registri.
– Pirano – duomo. Giorgio Bencz di Gorizia restaura l’organo.

1937 – Cittanova. Giorgio Bencz costruisce un nuovo organo, dopo che
era stato demolito quello del 1794.

1937 – (circa) – Buie – Madonna delle Misericordie. Nei lavori di restauro si elimina l’organo ottocentesco.

1938 – Pola – San Francesco. La ditta Beniamino Zanin e Figli di Codroipo costruisce il nuovo organo collocandolo nella nuova can¬toria innalzata sopra l’ingresso principale.

1939 – Valle. La ditta Beniamino Zanin e Figli costruisce un nuovo organo.
– Capodistria – duomo. Giorgio Bencz di Gorizia restaura l’organo eliminando la cassa e registri.

1941 – Isola – duomo. Giorgio Bencz restaura l’organo.
– Umago. Giorgio Bencz restaura l’organo.

1943 – Buie – duomo. Giorgio Bencz di Gorizia restaura l’organo.
– Grisignana. Giorgio Bencz restaura l’organo.
– S. Lorenzo del Pasenatico. Mario Giovannini restaura l’organo.

1944 – Pola – cattedrale. Il bombardamento del 22 giugno danneggia in
modo grave l’organo, che viene smontato. A guerra finita il ma¬teriale fu venduto alla chiesa di Villa del Nevoso e 11 rimesso in opera dall’organaro Frane Jenko di Lubiana.

1954 – Visinada. Albino Kuclar di Gorizia restaura l’organo.

1955 – S. Pietro in Selve. Frane Jenko di Lubiana restaura l’organo.

1957 – Verteneglio. Frane Jenko restaura l’organo.
– S. Lorenzo di Daila. Vinko Rebolj di Maribor restaura l’organo.

1958 – Rovigno – duomo. Vinko Rebolj di Maribor restaura l’organo, eli-
minando molte file di canne.

– Torre di Parenzo. Vinko Rebolj di Maribor restaura l’organo, attualmente fuori uso.

1959 – Pirano – duomo. Vinko Rebolj restaura l’organo.
– Umago. Vinko Rebolj restaura l’organo.

1960 – Barbana. Viene demolito, senza motivo ragionevole, l’organo. Il materiale è depositato nelle soffitte del Palazzo Loredan.
– Cittanova – Madonna del Popolo. Viene demolito l’organo.

1961 – Pola – Sant’Antonio. Frane Jenko di Lubiana costruisce l’organo, op. 95.
– Lazzaretto. Frane Jenko restaura l’organo.

1962 – Antignana. Frane Jenko restaura l’organo.

1965 – 66 – Lazzaretto. Frane Jenko, demolito il vecchio organo, ne co¬struisce uno nuovo, a 2 manuali con trasmissione pneumatica.

1967 – Pisino. Viene riattivato l’organo, danneggiato dai bombardamenti
del 1943.

1968 – Vengono pubblicate a Trieste le Memorie sacre e profane dell’Istria
di Prospero Petronio, in cui si parla di organisti stipendiati dalla comunità ad Albona, Cittanova e Montona (1681) e di organi esi¬stenti a Gimino, Barbana, Sanvincenti e Montona (1681).
– Capodistria – duomo. Nell’abside viene sistemato un organo elet¬tronico di fabbricazione tedesca.

GIUSEPPE RADOLE

Ricerche, con esito positivo, sono state condotte nei seguenti Archivi:

Trieste: Curia vescovile; Archivio storico del Comune; Museo del Teatro; Ufficio anagrafico.
Capodistria: Archivio capitolare; Archivio Comunale.
Archivi degli uffici parrocchiali di: Trieste: B. V. del Soccorso; S. Giusto; Villa Decani; Pirano; Umago, Verteneglio; S. Domenica di Visinada; Visinada; Barbana.

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